Non chiamateli cervelli in fuga: il valore degli “expat”

I “cervelli di movimento” fanno crescere le imprese e rafforzano l’economia. Un fenomeno in crescita in Italia, secondo la survey realizzata da Eca Italia con Aidp e Università di Milano. Benigni: la mobilità internazionale è un nostro punto di forza, in uscita e in ingresso

cervelli in fuga

Il primo punto è rimettere le cose al loro posto, superando la retorica dei cervelli in fuga o dell’impresa che delocalizza, spostando la produzione dove il lavoro costa meno. Quando si parla di estero, la sostanza dice altro: ci sono imprese che internazionalizzano e lavoratori che espatriano, creando valore per tutta l’economia. Le imprese internazionalizzate sono quelle che aumentano l’occupazione, gli “expat” colgono opportunità di carriera e portano il know how della loro impresa nel mondo.

La puntualizzazione è di Andrea Benigni, amministratore delegato di Eca Italia, attiva nella consulenza per la gestione della mobilità internazionale delle risorse umane. Assieme alla Statale di Milano e ad Aidp, ha realizzato la survey Espatriati italiani e stranieri in Italia: politiche e prassi gestionali, uno strumento di conoscenza, utile per gli uffici Hr.

Dottor Benigni, quali sono le caratteristiche del fenomeno?

“In Italia abbiamo una difficoltà storica a trattare il tema, troppo concentrati su una discussione demagogica su cervelli in fuga e delocalizzazioni. Sono fenomeni che esistono, ma non così importanti come quelli dei “cervelli di movimento” e delle imprese che internazionalizzano la propria attività, senza cercare manodopera a basso costo. Quello è un fenomeno del passato: chi ha delocalizzato ora spesso è in difficoltà, chi ha internazionalizzato riesce ad essere competitivo”

Di quali numeri parliamo?

“Intanto parliamo di un fenomeno in crescita, sia in che out. Lavoriamo con oltre 400 imprese che hanno circa 40 mila expat. Alla nostra survey hanno aderito 51 imprese con 12.000 lavoratori inviati all’estero con varie formule: trasferta, distacco o localizzazione\assunzione diretta. Sono soprattutto i giovani che accettano la sfida e stanno fuori più a lungo per crescere professionalmente, oltre il facile slogan del cervello in fuga. Mi lasci dire che su questo argomento tutto il sistema Hr dovrebbe battere i pugni e dire con forza che gli expat sono un elemento di forza del sistema economico. Così come ci rafforzano le risorse qualificate che arrivano in Italia. C’è chi continua a dire che ci “rubano il lavoro”, ma  tutti sappiamo che in Italia abbiamo meno laureati di quelli che servono…”

Perchè le aziende espatriano e in quali Paesi?

“Le aziende espatriano, nell’ordine, per: portare know how e conoscenze tecniche, esercitare controllo da parte della casa madre, colmare gap di competenze, far crescere il proprio personale. Sono sempre più le aziende per le quali l’esperienza all’estero è un requisito per far carriera. I paesi di maggiore destinazione sono: Usa, Cina, Francia e Uk. Non proprio paesi a basso costo di manodopera, nemmeno la Cina perchè qui ci riferiamo alle grandi metropoli dove il gap di costo è minimo.”

Lato in, cioè quelli che arrivano. Perchè vengono e da dove?

“Il fenomeno è simile e in crescita. Le maggiori aree d’arrivo sono UE e Sud America, le motivazioni le stesse delle imprese italiane.”

Gli hr manager come gestiscono gli expat, ci sono prassi consolidate?

“La gestione degli expat è complessa e delicata. L’espatriato occupa spesso posizioni chiave in azienda, non può non assumere rilievo alzare il livello di attenzione connesso con la sua gestione: non sbagliare benchmark retributivo (retribuzioni e bonus sono molto diversificati), tenere in controllo il planning fiscale transnazionale, sapere dove e come pagare i contributi, fare leva su modelli contrattuali evoluti…”

Quali sono i limiti e le barriere da superare per una crescita ulteriore del fenomeno?

“Bisogna che le imprese sviluppino politiche per la piena partecipazione delle donne alla mobilità internazionale. Fino ai 34-35 anni c’è una partecipazione paritaria, poi la presenza di donne diminuisce soprattutto in relazione alla maternità. E’ una situazione non solo italiana: le aziende devono avere consapevolezza che rischiano di perdere opportunità e competenze. Alcune imprese hanno sviluppato politiche di caring relative alla fase della maternità, ad esempio sostenendo i costi di espatrio anche dei genitori per aiutare la persona che sta all’estero nei primi mesi di vita del figlio. Sono esperienze positive ma non talmente diffuse da garantire la piena parità.”

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