Long term care, fringe benefit e nodi normativi: come cambia il welfare aziendale in Italia
HeadingDalla crescente centralità della cura alla gestione dei fringe benefit, il welfare aziendale italiano attraversa una fase di ridefinizione segnata da nuovi bisogni sociali, nell’analisi di Emmanuele Massagli, presidente di AIWA. In chiusura, una panoramica dei principali fornitori di welfare in Italia

L’invecchiamento della popolazione, le nuove esigenze di cura, l’attenzione alla conciliazione e alla salute stanno progressivamente ridisegnando il perimetro degli interventi di welfare aziendale. È in questo contesto che abbiamo chiesto a Emmanuele Massagli, presidente di AIWA – Associazione Italiana Welfare Aziendale – di fare il punto sui cambiamenti in corso, sull’efficacia dei piani di welfare e sulle questioni ancora aperte nel confronto con il legislatore.
Le prospettive: dal welfare aziendale alla centralità della cura
Alcuni elementi del welfare aziendale continuano a occupare una posizione consolidata. La previdenza non mostra scarti evidenti, mentre la mobilità mantiene un ruolo riconosciuto e anche il perimetro dei fringe benefit, ampliato dagli interventi normativi degli ultimi anni, tende ormai a essere percepito come una componente acquisita.
Su un piano diverso si colloca invece la long term care, che negli ultimi tempi ha guadagnato una centralità nuova nel dibattito. Come osserva Massagli, “la long term care è un tema che sta emergendo con forza crescente, non solo tra i lavoratori ma anche nel confronto con i sindacati e le associazioni datoriali. Negli ultimi mesi è diventato centrale nel dibattito ed è, a tutti gli effetti, un’urgenza per il Paese, anche perché il sistema sanitario pubblico, per ragioni strutturali, di costo e per gli effetti sullo stesso della curva demografica, su questo fronte riesce a intervenire poco.
Non è un caso che la questione sia entrata anche nella piattaforma dei metalmeccanici: Federmeccanica aveva avanzato la proposta di una long term care obbligatoria, che però non ha trovato seguito perché le organizzazioni sindacali hanno preferito intervenire sul’innalzamento dei minimi tabellari.
Nel frattempo, però, alcune aziende metalmeccaniche particolarmente strutturate hanno già inserito la LTC nei pacchetti di welfare e stanno iniziando a orientarne la scelta. La normativa lo permette dal 2018, quando è stato aggiunto il comma f-quater all’articolo 51 comma 2 del TUIR anche grazie alle proposte di AIWA. La stessa dinamica si ritrova anche in altri settori, come la consulenza, il farmaceutico o il chimico, dove la presenza di una forza lavoro non più giovane rende il tema ancora più rilevante” spiega Massagli.
Tra le forme di welfare aziendale più apprezzate, resta anche l’assistenza sanitaria integrativa, che è ancora la più scelta. “Accanto ai fondi contrattuali, che spesso sono obbligatori a integrazione dell’offerta pubblica, si affermano strumenti ulteriori, come i fondi che potremo definire “di terzo livello” e le casse aziendali e interaziendali, chiamati a coprire spazi che la stessa contrattazione collettiva non riesce a presidiare” spiega Massagli.
La qualità dei piani di welfare tra profilazione e bisogni reali
L’efficacia dei piani di welfare aziendale non dipende tanto dall’ampiezza dell’offerta quanto dalla sua capacità di intercettare bisogni reali. Come osserva Massagli: “I piani di welfare funzionano poco quando l’azienda si limita a un’offerta standard, magari ampia, ma sostanzialmente generica. Il lavoratore finisce per perdersi e si produce una sorta di effetto e-commerce”.
“Il welfare funziona quando è profilato, cioè quando l’azienda costruisce pacchetti che tengono conto delle esigenze diverse delle diverse persone. Oggi molte organizzazioni si trovano con cinque generazioni al loro interno: è inevitabile avere offerte ampie, ma questo non significa rendere l’offerta indistinta. Si possono, e si dovrebbero, costruire percorsi di scelta, anche coinvolgendo gli stessi lavoratori e i loro rappresentanti sindacali”.
In questa logica rientrano anche interventi che vanno oltre la dimensione del beneficio economico. “Funzionano bene le proposte rivolte a una maggiore salute quotidiana, alla prevenzione e, più in generale, quelle legate al wellness. Ci sono aziende che investono su forme di supporto psicologico, che mettono in relazione i lavoratori con coach e orientatori oppure che offrono occasioni di sviluppo delle competenze trasversali” continua Massagli.
Un’ulteriore direttrice riguarda i bisogni di conciliazione tra lavoro e vita privata, che però non sono omogenei.
“I piani di welfare legati alla conciliazione funzionano se sono coerenti con la composizione della popolazione aziendale. È difficile immaginare che una grande sede direzionale abbia questo tipo di bisogno diffuso, ma è diverso in settori come la ristorazione, dove lavoratori e lavoratrici spesso hanno contratti part-time e soluzioni legate alla mobilità o all’assistenza agli anziani, ai familiari non autosufficienti o ai minori”.
In questi casi, il welfare diventa anche uno strumento di relazione con il contesto territoriale. “Spesso si tratta di soluzioni che permettono alle aziende di dialogare con i servizi del territorio. Come AIWA, abbiamo tra i nostri soci consorzi tra cooperative che operano anche come fornitori degli altri provider nei servizi alla persona” precisa Massagli.
La visione di AIWA e il nodo dei fringe benefit
La visione strategica di AIWA sul welfare aziendale si è definita nel tempo attorno a una linea di indirizzo condivisa, mantenuta anche su terreni potenzialmente divisivi. Tra questi rientra la posizione critica rispetto all’iper-normazione dei fringe benefit, che il presidente dell’Associazione riconosce come solo apparentemente paradossale, perché frutto di una lettura sistemica più che di una valutazione contingente.
“Ai tempi del Covid abbiamo interloquito più volte con Palazzo Chigi, dimostrando che i fringe benefit, che allora avevano ancora un limite massimo di 258 euro a persona (risalente agli anni Ottanta) stavano svolgendo una funzione sociale concreta. Venivano utilizzati, per esempio, per acquistare mascherine (introvabili sul mercato o offerte a costi esorbitanti), alcool per l’igienizzazione e beni di prima necessità. Anche per questo, nell’agosto 2020, si arrivò al primo raddoppio della soglia”.
È a partire da quel passaggio che, secondo Massagli, la traiettoria normativa ha progressivamente cambiato segno. “Da lì a oggi gli interventi sono stati sette e le soglie sono cresciute in modo discontinuo: oggi siamo arrivati a mille euro, che diventano duemila per chi ha figli a carico. Nella bozza della Legge di Bilancio, prima della presentazione, si parlava addirittura di duemila e quattromila euro. Si badi bene: sono tutti interventi in deroga! Nel TUIR la soglia è ancora di 258 euro, mai cambiata strutturalmente. Se però prende piede l’idea del welfare aziendale come soglia economica entro la quale è possibile fare qualunque cosa, purché non in forma monetaria, il rischio è di riprodurre dinamiche problematiche già osservate altrove”.
Il riferimento è esplicito all’esperienza tedesca. “In Germania il welfare aziendale è stato ricondotto sostanzialmente a ciò che noi chiamiamo fringe benefit, ancor più semplificati. Questo ha fatto sì che, dopo appena un anno dall’implementazione, il tema entrasse interamente nella disponibilità dei grandi player dell’e-commerce” avvisa Massagli.
Da qui, per AIWA, l’esigenza di un cambio di prospettiva che riporti il welfare alla sua funzione originaria. “Per questa ragione critichiamo una deriva tutta centrata sul budget economico e stiamo lavorando, anche nel confronto con la politica, per stabilizzare definitivamente, per legge, la soglia dei fringe benefit, evitando i “balletti” anno su anno, e tornare a valorizzare il welfare come delineato dall’articolo 51, comma 2, del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi, ndr)”.
Tra nodi normativi e scelte di sistema
Sull’impianto normativo, secondo AIWA, si gioca la possibilità di ricondurre il welfare a una funzione che non sia meramente redistributiva, ma sociale e collettiva, pur in un quadro di possibile evoluzione. Come osserva Massagli, “restano escluse la mobilità sostenibile, la possibilità di cedere il credito welfare a colleghi con esigenze di cura, la donazione del residuo del piano welfare al terzo settore, le polizze vita caso morte e la cura degli animali domestici, che secondo una nostra ricerca rappresenta la richiesta più frequente dei dipendenti delle aziende clienti dei nostri soci”. Da qui una proposta che riguarda prima di tutto l’architettura del sistema: “l’obiettivo dovrebbe essere quello di ampliare il comma 2, leggendo i bisogni di oggi, non sovrapponibili a quelli degli anni Ottanta.
“Come ogni anno, abbiamo veicolato le nostre proposte nel confronto con le istituzioni. Tra queste, ce n’è una che ha trovato inizialmente spazio nel dibattito sugli emendamenti, finendo però per essere (gravemente e incomprensibilmente) bocciata. Riguarda un chiarimento interpretativo sulla possibilità di utilizzare le risorse del welfare aziendale per il pagamento della baby sitter: una possibilità che, a nostro avviso, è pacifica, ma che l’Agenzia delle Entrate ha contestato in eventi seminaristici”.
“Un’altra norma che ci riguarda è il neo-approvato abbassamento dell’aliquota sostitutiva sul premio di produttività, dal 5 all’1 per cento. Una riduzione di questo tipo probabilmente inciderà sulle scelte dei lavoratori, inducendoli, nel momento in cui viene loro richiesto, a preferire la monetizzazione rispetto al welfare. Per l’azienda, in realtà, il quadro non cambia: sul premio di produttività i contributi sono dovuti, per il welfare aziendale invece no (perché non è reddito da lavoro). Paradossalmente, invece di abbattere il cosiddetto ‘muro delle conversioni’, una misura di questo tipo speriamo possa sospingere le imprese ad aumentare il premio per chi sceglie il welfare, finendo per rendere la conversione stessa più conveniente e trasformandola in un fattore di vantaggio in primis per il lavoratore” conclude Massagli.
Le principali società di welfare in Italia
Quando si parla di welfare è utile distinguere tra ambiti e livelli diversi. Da un lato c’è il welfare pubblico, o primo welfare, che comprende l’insieme delle politiche e degli interventi garantiti dallo Stato; dall’altro il cosiddetto secondo welfare, che raccoglie le iniziative sviluppate da soggetti non statali, sia profit sia non profit, per rispondere a bisogni sociali emergenti.
È all’interno di questo secondo perimetro che si colloca il welfare aziendale, inteso come l’insieme di benefit e servizi messi a disposizione dalle imprese a favore dei propri dipendenti, in aggiunta alla retribuzione monetaria.
Nel concreto, il welfare aziendale può assumere forme diverse. Si va dal welfare contrattuale, previsto dai contratti collettivi di settore, al welfare legato al premio di risultato, che consente di convertire la retribuzione variabile in servizi e benefit attraverso accordi sindacali. Accanto a queste modalità si è affermato anche il cosiddetto welfare “on top”, una forma più flessibile e discrezionale, introdotta direttamente dall’azienda e spesso collegata al raggiungimento di specifici obiettivi.
È in questo contesto articolato che operano i principali attori del welfare aziendale, riportati di seguito.8i9
Edenred
Gruppo internazionale attivo nei benefit aziendali e nei pagamenti digitali, dai buoni alle soluzioni per mobilità e welfare.
Eudaimon / Epassi
Società di consulenza che supporta le imprese nella progettazione di piani welfare attraverso strumenti digitali.
Europ Assistance
Operatore globale nei servizi di assistenza, con soluzioni dedicate anche al benessere delle persone in azienda.
Howden Assiteca / Howden Group
Broker assicurativo internazionale attivo anche nello sviluppo di soluzioni di flexible benefits.
Jointly
Società benefit focalizzata su benessere organizzativo, genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
lastminute.com
Gruppo europeo del travel-tech, specializzato in viaggi e servizi digitali legati alla mobilità.
LianeCare
Piattaforma dedicata ai servizi di cura, assistenza familiare e supporto psicologico.
Mercer
Società di consulenza globale sul capitale umano, attiva su welfare, previdenza e ricerca HR.
Pluxee
Operatore internazionale che sviluppa soluzioni digitali per benefit ed engagement dei dipendenti.
Randstad
Gruppo internazionale dei servizi per il lavoro, attivo anche nella progettazione di piani welfare aziendali.
Salabam Solutions
Realtà specializzata in soluzioni tecnologiche e operative per il travel management.
Stay Welfare
Società del Gruppo Staff dedicata all’erogazione di servizi di welfare e flexible benefits.
Toduba
Fornitore tecnologico che sviluppa piattaforme digitali per buoni e flexible benefit.
Tundr
Startup fintech italiana che punta a innovare il welfare aziendale in chiave sostenibile.
Up Day
Storico operatore dei buoni pasto e dei servizi prepagati per imprese e lavoratori.
Valyouness (Cirfood)
Società del gruppo Cirfood attiva nello sviluppo di servizi welfare per aziende ed enti pubblici.
Walà Welfare
Società benefit impegnata in progetti di welfare a impatto sociale e territoriale.
Welfare Come Te
Realtà orientata al welfare sociale e al supporto ai caregiver e alle famiglie.
Welfare Pellegrini
Operatore nei buoni pasto e nei flexible benefit con piattaforma personalizzabile.
Welfare4You
Provider digitale che offre servizi welfare tramite una piattaforma web multifornitore.
Welfarebit
Marketplace di servizi welfare che affianca le imprese su piattaforma e aspetti fiscali.
Welion (Gruppo Generali)
Società del gruppo Generali dedicata al welfare integrato e ai servizi per la salute.
Well-Work
Società di consulenza che supporta le aziende nella definizione di strategie di welfare.



