Workers buyout, le imprese che vengono salvate dai lavoratori

Quando l’impresa è in crisi, può essere il lavoro stesso a salvarla. Il Workers Buyout è un’opzione concreta per preservare competenze e posti di lavoro, trasformando i dipendenti in protagonisti del rilancio. Il modello è conosciuto? E l’HR quale ruolo ha?

buyout

Quando un’impresa entra in crisi, la conseguenza più temuta è la perdita dei posti di lavoro e delle competenze maturate in anni di esperienza. Non sempre, però, la chiusura rappresenta l’unico esito possibile: esiste infatti una strada alternativa in cui sono gli stessi dipendenti a farsi carico del destino dell’azienda, trasformandosi da lavoratori a imprenditori. È il modello dei workers buyout, realtà che in Italia si stanno diffondendo con sempre maggiore frequenza, capaci non solo di preservare l’occupazione ma anche di generare valore economico e sociale.

Un’alternativa nelle crisi d’impresa

Il workers buyout (WBO), o “impresa rigenerata”, è un processo in cui i dipendenti, spesso attraverso la costituzione di una cooperativa, acquistano una quota di maggioranza o l’intera impresa in crisi, diventandone proprietari e salvaguardando i posti di lavoro.

Questo modello assume un ruolo crescente nei contesti di crisi aziendale, ma anche in scenari di ricambio generazionale forzato, quando mancano eredi disposti o preparati a rilevare l’attività.

È una forma di autoimprenditorialità collettiva: i lavoratori investono le proprie risorse, come l’indennità di mobilità o il TFR, creando il capitale iniziale per la cooperativa.

Come nasce e l’impatto in Italia

In Italia, il WBO affonda le radici nella Legge Marcora (L. 49/85), oggi aggiornata, che ha istituito un fondo apposito gestito da Cooperazione Finanza Impresa (CFI) per sostenere la nascita delle cooperative tra lavoratori, attraverso contributi in capitale o debito, affiancamento nella pianificazione industriale e monitoraggio a lungo termine.

L’interesse verso questo strumento è in crescita, grazie anche a ricerche recenti che ne hanno analizzato l’impatto economico e sociale. Uno studio di The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Amundi e Coopfond dal titolo L’impatto economico e sociale dei Workers Buyout in Italia, rileva che dal 2011 a oggi i WBO hanno salvaguardato oltre alcune decine di imprese, coinvolgendo circa 2 400 lavoratori. 

Casi italiani che funzionano

Un esempio tra i più significativi è quello di Ceramiche Noi, nata da un workers buyout e oggi considerata un modello virtuoso a livello nazionale ed europeo. L’impresa, oltre ad aver preservato i posti di lavoro dopo la crisi, ha saputo rinnovarsi introducendo nuove linee produttive, puntando sulla sostenibilità ambientale e sviluppando una comunicazione internazionale. 

Accanto a questa esperienza, anche altre realtà hanno trovato nuova vita grazie ai lavoratori: Italcables, Fenix Pharma, Art Lining, Legatoria Tuderte, Pirinoli e 7Wash sono alcune delle imprese rilanciate attraverso il sostegno di Coopfond, che ha contribuito al loro consolidamento produttivo, al miglioramento dell’efficienza e all’adozione di nuove tecnologie. 

Quanto valgono i workers buyout

Sul piano economico, i dati confermano la rilevanza di questo fenomeno. Stando al report della Commissione Europea dal titolo ESF+ Study on Workers’ Buyout, basato sull’Italia e su dati del 2024, i workers buyout attivi dispongono di un capitale di oltre 52 milioni di euro, un patrimonio netto che supera i 95 milioni, un fatturato aggregato di circa 472 milioni e un utile complessivo di 1,4 milioni. 

Le imprese di medie dimensioni – quelle con un organico compreso tra i 50 e i 249 dipendenti – sono quelle che performano meglio: secondo una ricerca di Legacoop, queste aziende registrano un tasso di default intorno al 9%, molto più basso rispetto alle micro-imprese, e un valore della produzione che risulta circa 2,5 volte superiore. 

Secondo il report di TEHA Group, la metà dei Workers buyout avvenuti in Italia dal 2011 sono concentrati in 3 regioni: Emilia-Romagna (29), Umbria (10) e Sicilia (9). La prevalenza si registra soprattutto nel settore manifatturiero, cuore del Made in Italy, che spazia dalla pelle alla moda, dalla ceramica al design: sono il 69,9%.

Cosa può fare l’HR

Il ruolo dell’HR in un processo di workers buyout è cruciale perché accompagna i lavoratori lungo tutte le fasi di transizione. Nella fase preliminare è chiamato a supportare l’analisi di fattibilità, contribuendo alla redazione di proiezioni finanziarie realistiche e di un piano industriale solido. Successivamente diventa fondamentale favorire la formazione e lo sviluppo organizzativo, aiutando i dipendenti a comprendere i meccanismi della governance cooperativa e a maturare competenze di leadership condivisa e gestione partecipata. Un aspetto altrettanto rilevante riguarda la gestione del capitale umano: l’HR deve promuovere la coesione interna, prevenire conflitti e assicurare un equilibrio tra le capacità operative e i ruoli di governo.

Non meno importante è il sostegno nell’accesso a risorse esterne, facilitando il dialogo con CFI, banche locali, fondi mutualistici e altri soggetti che possono garantire capitale o credito. In parallelo, l’HR contribuisce al rafforzamento culturale e comunicativo del progetto, valorizzandone l’identità attraverso iniziative di promozione capaci di attrarre clienti e riconoscimenti. Infine, un’ulteriore responsabilità è quella di sviluppare reti di collaborazione e advocacy, connettendo la nuova impresa a reti cooperative, associazioni e istituzioni per condividere buone pratiche e promuovere politiche di sostegno adeguate.

error

Condividi Hr Link