A tu per tu con le Top HR Women: Francesca Di Carlo

I direttori del personale si raccontano a Hr-Link. La protagonista è Francesca Di Carlo, Direttore People and Organization del Gruppo Enel

Francesca-Di-Carlo

Sono molte le donne che occupano funzioni di vertice nelle risorse umane. Sono le Top Hr Women, alle quali abbiamo dedicato una classifica nel mese di ottobre. Alcune di loro hanno accettato di raccontare la propria carriera e di dare qualche consiglio ai giovani aspiranti Hr manager. Francesca Di Carlo è Direttore People and Organization del Gruppo Enel, 69.000 collaboratori nel mondo.

Come è iniziata la sua carriera? Nel momento del suo primo colloquio, aveva già ben chiara in mente la strada che l’ha portata dove è oggi?

Ho iniziato la mia carriera nel Gruppo UBS a Londra nel mondo della Corporate Finance, come analista nei settori di Mergers and Acquisitions ed Equity Offering per gruppi multinazionali. Difficile dire di avere fin da subito le idee chiare sulla propria carriera e sulla strada che prenderà, soprattutto quando si è agli inizi; forse in quel momento si è più portati a pensare che guiderà principalmente il percorso universitario che la persona ha intrapreso. Quello di cui ero sicura era di volermi mettere alla prova anche in settori diversi e senza precludermi alcuna possibilità, cosa che poi ho fatto.

Quale porta avrebbe voluto aprire? Quale si è pentita di aver aperto?

Su quali porte aprire o chiudere ho sempre deciso cercando di farlo senza rimorsi o rimpianti: giunta a un bivio e presa una decisione, l’alternativa smetteva di esistere per me in quel momento stesso. Su questo sono sempre stata piuttosto drastica, anche perché credo che ogni esperienza abbia qualcosa da insegnare. Posso dire che si sono aperte le porte “giuste” per il momento della vita in cui mi trovavo: l’esperienza in Telecom è sicuramente stata una delle più formative per me; quella in Enel una delle più inaspettate, il campo delle risorse umane non lo avrei forse mai immaginato nel mio percorso.

Anche se le HR rappresentano un’eccezione, in Italia il numero di donne in posizioni apicali d’impresa è ancora molto basso. Il fatto di essere donna l’ha ostacolata nel suo percorso?

Sicuramente essere donna ti mette di fronte a tante responsabilità, lavorative e non, al punto che la conciliazione vita-lavoro non è semplice e a volte è anche richiesto di sacrificare qualcosa. Nel mio caso ho avuto diverse fortune: in primis, quella di avere un modello familiare di donne impegnate e realizzate professionalmente che è stato di stimolo ed esempio; poi ho avuto un marito e compagno di vita di grandissimo supporto, nonché la prima persona a credere in me, più di quanto io stessa non abbia fatto; infine ho avuto le opportunità per dimostrare ciò di cui ero capace e, devo ammettere, le migliori dimostrazioni di fiducia sono venute da responsabili uomini. Anche se con difficoltà e duro lavoro, oltre alla sfera professionale, mi sento appagata come donna e madre: ho due figli che oggi frequentano l’Università e di cui vado molto fiera, da loro non smetto mai di imparare.

Rispetto a qualche anno fa, le cose stanno cambiando?

Purtroppo il numero di donne in posizioni manageriali risulta sempre troppo basso, sebbene si noti una differenza di passo rispetto a qualche anno fa e un impegno continuo da parte del mondo delle imprese per cercare di colmare questo gap, a riprova del fatto che c’è attenzione rispetto al tema. Certo i dati non sono incoraggianti, stando al World Economic Forum in Italia solo il 22% delle donne è manager, per cui la strada è ancora molto lunga.

Qual è la dote più importante di un Hr manager? E il peggior nemico?

Non essendo cresciuta nel mondo Hr, posso dire che la caratteristica che ho trovato più utile sviluppare è l’intelligenza emotiva, che si declina poi in empatia, ascolto attivo e lettura di contesto. È un aspetto fondamentale in quanto saper gestire le relazioni è una condizione imprescindibile per chi si avvicina all’ambito people. Il peggior nemico direi che è più o meno lo stesso di ogni altro lavoro e cioè l’arroganza, il sentirsi arrivato, il “sapere già come si fa”. Questo non solo non aiuta nelle relazioni umane, ma più in generale non permette di vedere – e quindi superare – i propri limiti.

Conta più la formazione o l’esperienza sul campo?

Per ricollegarmi alla domanda precedente, conta di più l’umiltà di mettersi sempre in discussione, sia che la propria conoscenza derivi dalla formazione che dall’esperienza in campo. Non si finisce mai di imparare e l’importante è fare sempre domande, anche banali, qualora si abbia un dubbio. Nel tempo è questo che fa la differenza per fare al meglio il proprio lavoro.

Qual è oggi la sfida professionale più grande per chi si occupa di Hr, nel suo settore?

In un momento storico di profondo cambiamento del mondo del lavoro, che ci vede da una parte impegnati nel cogliere al meglio tutte le opportunità offerte dal digitale e dall’altra nel difficile ruolo di azienda leader a supporto della transizione energetica, la sfida principale che vedo per le Risorse Umane è quella di allenare le persone alla resilienza, all’apertura e alla flessibilità, senza lasciare indietro nessuno. Questo implica ricorrere a nuove tipologie di strumenti e strategie per prendersi cura delle persone: individuando e gestendo talenti, colmando divari di competenze, precorrendo le necessità aziendali e fornendo intuizioni che possano aiutare il business a cavalcare o addirittura anticipare le tendenze. Sicuramente per l’Hr del futuro diventa imprescindibile l’utilizzo dei dati e la definizione di metriche a supporto della gestione della popolazione aziendale.  Ciò che occorre tenere a mente è che le scelte delle Risorse Umane incidono fortemente sia sulle persone che sulle performance aziendali ma, soprattutto, che le decisioni prese sulle persone non sono meno importanti di qualsiasi altra decisione di business.

Quale consiglio darebbe a un giovane che voglia intraprendere questa carriera?

Il consiglio che darei è in primis quello di essere davvero partner del business, cercando di coglierne le dinamiche, tenendosi aggiornati sui trend del settore nel quale si opera e non applicando schemi e soluzioni solo “perché si è sempre fatto così”. Coraggio e imprenditorialità sono caratteristiche cruciali anche nella gestione delle persone, ma senza conoscenza del business si trasformano solo in imprudenza. Per questo vedo di buon grado anche step di carriera variegati, passando dall’Hr alla line e viceversa: è un’osmosi che suggerisco perché arricchisce il reciproco punto di vista, aumentando il valore aggiunto che si può offrire.

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