Apprendistato, ecco come Messina spa ha investito in 26 giovani

Rodolfo Magosso, hr della società portuale di Genova, insiste su un punto: “Bisogna uscire dalla logica secondo cui la formazione è un costo, in realtà è un investimento”

Rodolfo-Magosso

Un investimento e non una spesa. È in questi termini che dovrebbe essere considerato il contratto di apprendistato, secondo Rodolfo Magosso, direttore Risorse Umane & Relazioni Industriali di Ignazio Messina Spa, che racconta l’esperienza vissuta dalla sua azienda. Si tratta nei fatti di un contratto di assunzione a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione giovanile, ad oggi non diffusamente utilizzato nel mondo dell’industria. Mentre prosegue il dibattito sul calo dell’occupazione dei giovani conseguente alla pandemia e al lockdown – e mentre l’Istat mostra con quale forza l’emergenza sanitaria si è ripercossa sui più giovani – ci sono Paesi come Francia e Inghilterra che stanno investendo molto sul contratto di apprendistato. Lentamente, anche le aziende italiane iniziano a invertire la tendenza.

Magosso, quando è iniziata la vostra esperienza?

Non ieri, ma almeno un anno e mezzo fa. I contratti sono scaturiti all’interno di un progetto finalizzato al ringiovanimento della forza lavoro nella nostra realtà portuale: abbiamo inserito 26 giovani nel ruolo che una volta era degli “scaricatori di porto”. Oggi quel tipo di lavoro non è più fisicamente pesante come in passato, grazie all’aiuto delle macchine, ma resta in ogni caso un’attività che si svolge all’aperto, in ogni condizione climatica: non è definita usurante ma di certo non si tratta di un lavoro semplice. Quindi abbiamo deciso di dare un segnale di inversione di tendenza, assumendo persone che non necessariamente avessero una certa struttura fisica, ma un gruppo di ragazzi diplomati – prevalentemente periti tecnici – proprio perché l’evoluzione del mondo della portualità porta con se’ l’avvento impetuoso della tecnologia. I nuovi terminal portuali, infatti – come quelli di Barcellona, Anversa, Rotterdam – sono largamente automatizzati e il lavoro dell’uomo o della donna è dedicato alla conduzione, anche da remoto. Resta, tuttavia, il fatto che, benché la movimentazione di un container venga eseguita da una macchina, la macchina deve comunque essere manutenuta. In questo senso, quindi, aumentano anche le responsabilità del ruolo che si ricopre.

Perché la scelta dell’apprendistato?

Effettivamente pochi fanno questa scelta; per noi lo è stato in modo preciso. All’interno dell’alveo normativo abbiamo definito dei profili professionali anche non previsti dal contratto. Abbiamo ovviamente fatto molta formazione, ovvero 320 ore nel triennio: se si punta sul contratto di apprendistato non si può prescindere dall’investimento in formazione, sia tecnica che sul fronte della sicurezza. Ma anche sulle soft skills e sulla lingua inglese, visto che ormai le navi che attraccano alla banchina hanno equipaggi internazionali. La lingua è fondamentale in più occasioni, anche per evitare incidenti.

Come giudica l’esperienza?

Per noi è stata senz’altro di successo e sta dando molta soddisfazione anche ai ragazzi, oltre tutto in una città problematica come Genova sul fronte dell’occupazione. Si confrontano con amici che vivono altre realtà e sono molto fieri del percorso professionale che stanno facendo.  Questo ci dice che, se si ha il coraggio di investire in uno strumento come quello dell’apprendistato, diventa evidente che i benefici ottenuti compensano il costo della formazione. E credo di poterlo sostenere, alla luce dei miei 30 anni di lavoro alle spalle.

Cosa è cambiato rispetto al passato?

In passato il contratto di apprendistato non era applicabile a tutte le unità di lavoro e neanche su tutto l’arco della giornata; non era permesso sforare l’orario. Ma in certi casi, il tipo di lavoro, le problematiche e i bisogni lo richiedono. Ad esempio, una volta non era possibile inserire lavoratori in apprendistato nei turni di notte. Ma si tratta di situazioni in cui si impara. La formazione da alcuni è considerata come un minus: tu paghi delle persone mentre sono in aula. Ma con il tempo ci si accorge che si tratta al contrario di un risparmio, e non di tempo sottratto al lavoro. Se si fa una buona selezione, i ragazzi restano perché sono formati in modo adeguato.

Il Covid ha cambiato qualcosa?

L’apprendistato potrebbe aiutare la situazione difficile. Lo strumento mi pare ben normato. Noto che nella grande distribuzione è molto utilizzato, nell’industria meno, ma penso sia una questione più legata al fatto che mancano proprio i posti di lavoro. Resta il fatto che, se si considera la formazione per l’apprendistato un obbligo o un onere, non si ottengono gli stessi risultati. Va cambiato il punto di vista.

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