Caso Almaviva: la responsabilità delle rappresentanze sindacali

Il Sindacato Lavoratori Comunicazione – Cgil, a seguito dell’apertura della procedura di licenziamento collettivo nei confronti di 1666 lavoratori della sede di Roma della società Almaviva Contact, ha recentemente depositato presso il Tribunale di Roma un ricorso ex. art 28 Statuto dei Lavoratori per vedere accertata la condotta antisindacale della Società e, di conseguenza, chiedere l’annullamento della procedura di riduzione del personale

avvocato gabriele fava

Il Sindacato Lavoratori Comunicazione – Cgil, a seguito dell’apertura della procedura di licenziamento collettivo nei confronti di 1666 lavoratori della sede di Roma della società Almaviva Contact, ha recentemente depositato presso il Tribunale di Roma un ricorso ex. art 28 Statuto dei Lavoratori per vedere accertata la condotta antisindacale della Società e, di conseguenza, chiedere l’annullamento della procedura di riduzione del personale.

La sofferta chiusura di Almaviva a Roma è giunta nonostante il tentativo del Ministero dello Sviluppo economico di agevolare il raggiungimento di una intesa tra Sindacati e Azienda proponendo da un lato, il ricorso alla Cassa Integrazione per 3 mesi (gennaio a zero ore, febbraio al 70%, marzo al 50%) e, dall’altro la garanzia di addivenire ad un accordo, entro il 31 marzo 2017, con efficacia solo per le sedi di Roma e Napoli. Tuttavia, la trattativa non ha avuto esito positivo poiché solo le Rsu della sede di Napoli hanno firmato, mentre quelle di Roma si sono rifiutate con il placet dei sindacati di categoria e dei leader nazionali Cgil, Cisl e Uil.

Non serviva l’ultimo incontro al Ministero dello Sviluppo economico tra l’azienda e i rappresentanti sindacali di categoria per capire se ci fosse ancora la possibilità di estendere l’accordo firmato dalle Rsu di Napoli anche alla sede di Roma, possibilità non realizzabile dato che è la stessa procedura a prevedere che passati 75 giorni volti a cercare ogni possibile strada per giungere a un’intesa non sussiste più la possibilità di successivi ripensamenti, eventuali integrazioni o modifiche al testo d’accordo.

La decisione da parte dei delegati aziendali di Roma di non firmare l’accordo, espressione di scelte esclusivamente politico sindacali più che di un interesse effettivo per il futuro dei lavoratori, ha portato alla procedura di licenziamento collettivo con chiusura della sede di Roma. Chiusura quest’ultima da attribuire, quindi, alla responsabilità delle stesse rappresentanze sindacali e non imputabile all’azienda di call center che, come molte altre, si è trovata ad affrontare una crisi  dovuta all’eccessiva diffusione di “bandi al massimo ribasso”, che ha costretto le stesse aziende italiane a delocalizzare (soprattutto nell’Europa dell’Est) o a ridimensionare drasticamente l’organico in forza in Italia.

Nemmeno risulta essere una soluzione alla grave situazione delineatasi il ricorso da parte delle rappresentanze sindacali alla procedura ex art 28 Statuto dei lavoratori; infatti un’esplosione di ricorsi giudiziari, come quello presentato dalla Cgil, porterebbe solo ad ulteriori incertezze in un delicato momento in cui le stesse aziende, colpite pesantemente dalla crisi, avrebbero bisogno, invece, di maggiore stabilità e di riuscire a restituire credibilità al loro stesso nome.

Sarebbe bene, quindi, in un contesto di evidenti criticità oggettive, che anche le rappresentanze sindacali fossero propense a raggiungere soluzioni condivise, il tutto nell’ottica di un sistema di relazioni sindacali moderno e responsabile che garantisca una proficua collaborazione tra le parti sociali nell’interesse del lavoratore e della tutela dei diritti di quest’ultimo, superando il modello di  “parte e controparte”.

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