Covid-19 e lavoro, quali impatti a lungo termine

Littler, tra i più grandi studi di diritto del lavoro al mondo, ha condotto una survey su oltre 750 Hr executive in Europa esaminando la gestione dello smart working, il wellbeing e la salute mentale dei lavoratori, la riduzione della forza lavoro. Ecco gli highlight del report.

COVID

L’evolversi dell’epidemia da Covid-19 sta portando molti datori di lavoro ad apportare modifiche a lungo termine nelle proprie politiche di impiego, favorendo il lavoro da remoto e la flessibilità, con impatti sulla produttività e sull’engagement dei lavoratori non sempre morbidi o privi di conseguenze.

Smart Working

Dallo studio, condotto tra  la fine di luglio e l’inizio di agosto, emerge che a sei mesi dalle prime misure restrittive circa il 70% dei datori di lavoro sta ancora usufruendo dello smart working per i propri dipendenti, salvo i casi in cui è necessario lavorare in presenza. Questa percentuale ci parla non solo di misure cautelative per salvaguardare la salute dei dipendenti ma anche di un generale sdoganamento di alcune modalità operative prima riservate solo a determinate categorie di lavoratori. Il 61% degli intervistati, infatti, ritiene che tra i possibili effetti positivi nel lungo periodo della pandemia sul luogo di lavoro ci sia una maggiore accettazione da parte dei datori dei benefici dello smart working . Il 59% sottolinea come in generale l’aumentato ricorso al digitale sia una spinta positiva verso un futuro più smart anche sotto il profilo tecnologico, mentre Il 41% afferma che i team dislocati in diverse città sono ora in grado di comunicare e lavorare meglio virtualmente. E, in merito alle prospettive post riapertura, il 41% dei partecipanti europei alla survey sostiene che che la loro azienda permetterà a più dipendenti di usufruire dello smart working a patto che quest’ultimi abbiano dimostrato di poter essere ugualmente produttivi anche da remoto.

Wellbeing

Tra le tante, massicce, ripercussioni della pandemia una, forse sottovalutata, è quella sulla nostra salute mentale. Dato lo stigma che ancora accompagna questo tema e le più immediate e pressanti conseguenze economiche e sanitarie del Covid, non sorprende che questo non sia tra i più trattati. È importante però valutare quanto sul luogo di lavoro sia tenuto in considerazione e quali misure sono state messe in atto per tutelare la salute mentale e il benessere generale dei lavoratori. I numeri che emergono dalla ricerca, in questo senso, mostrano un ampio margine di miglioramento. Solo il 31% degli intervistati , infatti, afferma che la propria azienda sta effettivamente fornendo ai lavoratori servizi di supporto o programmi di assistenza per coloro alle prese con problemi di natura psicologica derivati dalla pandemia. I dati invece parlano di aziende che perlopiù vengono incontro ai dipendenti offrendo orari di lavoro più flessibili per coloro con familiari malati (57%) o che hanno dato un boost alla comunicazione interna coinvolgendo maggiormente i dipendenti durante l’emergenza (51%).

Riduzione della forza lavoro

Tra gli effetti più drammatici della pandemia c’è senza alcun dubbio la crisi economica e la conseguente riduzione dell’organico da parte di molte aziende. La spada di Damocle che al momento pende su moltissimi lavoratori è l’esaurimento dei regimi di sussidio statale e la fine dei divieti di licenziamento che al momento stanno frenando l’emorragia di posti lavoro che con ogni probabilità avverrà in seguito. Il 59% degli intervistati le cui aziende stanno usufruendo di sussidi statali è convinto che, una volta terminati, la forza lavoro dovrà essere ridotta. Tra questi il 29% è convinto che i tagli al personale avverranno non appena sarà legalmente possibile, il 15% che avverranno entro due settimane dal temine dei sussidi statali e il 19% che avverranno addirittura prima del termine.

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