Disconnessione e reperibilità, in via di definizione un disegno di legge per normare il lavoro agile

Rosita Zucaro, giuslavorista ed esperta di smart-working, fa il punto sulla situazione italiana, dove ad oggi la disconnessione è tutelata ma non è ancora un diritto.

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Dai cinque agli otto giorni medi al mese si è passati – nel giro di poco tempo – al lavoro totalmente da remoto, che tutti hanno chiamato smart, anche se si trattava di altro. È quanto successo a causa del lockdown iniziato lo scorso marzo, reso necessario dalla pandemia di Covid-19, che ha di fatto avviato il più grande esperimento di lavoro svolto non in sede. Un cambiamento epocale, da cui secondo gli esperti non si potrà tornare indietro e che, anche per questo motivo, necessita di essere più specificatamente normato. Tra i punti cardine della riflessione, particolare attenzione va al diritto alla disconnessione perché, se da un lato lavorare in modalità agile può aiutare a conciliare il lavoro con la vita privata, dall’altro l’uno può invadere l’altra.

Rosita Zucaro avvocata giuslavorista, docente e coordinatrice del Master in Management del welfare presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, che da oltre dieci anni si occupa di smart working e di conciliazione vita-lavoro – interviene precisando: “Seppur non priva di tutela, la disconnessione in Italia non è pienamente garantita e configurata come diritto, come avviene ad esempio in Francia e in Spagna”.

Avvocata, cosa intende? 

Il testo attuale della norma può ingenerare ambiguità che ancora non sono emerse in termini di concrete criticità a causa di un’applicazione dello smart working alquanto contenuta in Italia (eravamo ultimi in Europa) – che ha anche in parte arginato possibili contenziosi – e della mancanza di una giurisprudenza a cui fare riferimento. In altri Paesi, la disconnessione è espressamente qualificata come diritto, ad esempio dal 2016 in Francia e dal 2018 in Spagna. In Italia – come sottolineo nel mio articolo Il diritto alla disconnessione tra interesse collettivo e individuale – la “disconnessione costituisce indubbiamente un interesse meritevole di tutela” ma non viene definito ad oggi expressis verbis quale diritto, né tantomeno ne viene previsto un relativo iter minimo di tutela. Inoltre – ai sensi del Capo II della legge 81/2017 – riguarda solo gli smart worker e non tutti i lavoratori, come accade, invece, nei paesi citati. Nel disegno di legge al momento in discussione, dovrebbe esserne ampliata la tutela, ma è importante comprendere i termini effettivi in cui ciò avverrà.

Cosa comporta configurare la disconnessione come diritto?

L’identificazione quale diritto-dovere, estesa anche al di là dello smart working, potrebbe offrire un espresso riconoscimento al presumibile ed evidente rischio dell’always on, contribuendo anche a diffondere comportamenti più corretti e arginare gli abusi.

Cosa cambia nel disegno di legge in discussione?

In riferimento alla disconnessione si prevede che venga riconosciuto il diritto del lavoratore agile o smart worker – al di fuori delle concordate fasce di reperibilità (anche se sarebbe meglio dire contattabilità), ovvero di esecuzione della prestazione lavorativa – a disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche in proprio possesso, senza che questo possa comportare effetti negativi di natura disciplinare o di carattere retributivo. Al datore di lavoro poi verrebbe posto un obbligo di vigilanza sulla concreta attuazione del diritto alla disconnessione, che in caso di violazione darebbe luogo al reato di cui all’art.  615 bis, ovvero interferenze illecite nella vita privata, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

Quindi si passa da un’ambiguità interpretativa a un più forte irrigidimento…

Sembrerebbe che intenzione generale del governo sia di riordinare la disciplina facendone una nuova, riprendendo l’architrave del 2017, ma rendendola più stringente e rigida.

Che cosa significa in sostanza disconnettersi? Si parla, ad esempio, dell’istituzione di fasce orarie, ma come si può regolamentare il tutto?

La disconnessione è configurabile come un diritto/dovere, ossia deve essere garantito ma al contempo richiede il dovere di switch off. Pian piano non riguarderà solo il singolo lavoratore, ma il cittadino in sé: in Spagna è già così, visto che viene inserito nella disciplina sulla protezione dei diritti personali e la garanzia dei diritti digitali, oltre che nello Statuto dei  lavoratori  spagnolo.

Oltre alla normativa, cosa deve cambiare?

Non ritengo che la normativa dovrebbe essere completamente rivista, ma che richieda alcune riflessioni, anche alla luce del contesto vertiginosamente cambiato negli ultimi tempi, che l’ha resa una necessità diffusa, generando anche confusione tra lavoro agile/smart working e lavoro da remoto. In questo momento il lavoro a distanza si è diffuso in maniera esponenziale, ed è anche foriero di confusione, in un contesto spesso impreparato.  Infatti, da un alto ci sono gli aspetti normativi e dall’altro quelli legati alla cultura del lavoro. Bisogna immaginare lo smart working all’interno di una visione in cui le leve fondamentali per una sua corretta implementazione – ossia tecnologica, giuridica, change management e organizzazione aziendale – e la cultura del lavoro interagiscano sinergicamente. Si tratta di una modalità che va a interferire sui cardini della prestazione di lavoro subordinato e dipendente e sull’organizzazione aziendale e delle amministrazioni, perché smaterializza aspetti di tempo e di luogo. Il legislatore ha normato ciò che alcune grandi aziende avevano iniziato a realizzare in ottica di ottimizzazione della propria organizzazione e delle performance aziendali, legandole a un miglioramento della conciliazione lavoro-vita. Con questa diffusione imprevista la maggior parte dei contesti si è trovata impreparata. I dati comunque ci dicono che al di là della pandemia c’è un interesse sia da parte del privato che del pubblico a proseguire sulla strada dello smart working.

C’è poi il tema della contattabilità/reperibilità. Quando lo si è? Ci sono professioni che lo prevedono per la loro stessa natura, come quella del medico ospedaliero. Ma cosa potrà accadere?

Vengono spesso impropriamente assimilate, ma sono in realtà differenti. La reperibilità è un istituto pattizio mediante il quale un lavoratore si obbliga, al di fuori del proprio normale orario di lavoro, a essere rintracciabile, al fine di intervenire in caso di necessità. In ragione di ciò, in considerazione della limitazione nel godimento del tempo libero e ai fini di una lettura conforme dell’istituto al dettato costituzionale (art. 36, comma 1 e 2, Cost., ndr), si ritiene generalmente che al dipendente spetti una specifica indennità. La contattabilità nello smart working ha un’altra finalità e prevede che nelle giornate agili le parti concordino delle fasce orarie nelle quali il lavoratore debba rendersi contattabile.

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