La strategia sulle persone è un’emergenza nell’agenda del CEO

Allineare le strategie delle risorse umane in modo efficace con le strategie aziendali non è una priorità solo delle Human Resources, ma di tutti i vertici aziendali. Il dialogo costante tra Amministratore Delegato e Chief HR Officer diventa un’urgenza al pari delle priorità di business. Ma in questo frangente quali sono le responsabilità del CEO nel people management? Quali sono le strategie sulle persone per avere un ritorno sugli investimenti lavorando anche a livello internazionale. Con Danilo Cattaneo, AD di InfoCert abbiamo parlato di people strategy e abbiamo lanciato una provocazione: “people before business” è possibile?

Danilo Cattaneo

La pandemia ha segnato un importante spartiacque nella gestione delle risorse umane e, di conseguenza, anche nel rapporto tra l’HR e i vertici aziendali, amministratore delegato in primis: si è, infatti, passati da una fase in cui la gestione del personale era totalmente demandata alle risorse umane a una fase di più stretta collaborazione tra HR e AD. «In effetti i CEO sono dovuti scendere in campo» afferma Danilo Cattaneo, AD di InfoCert, che prosegue: «Noi in azienda avevamo inserito lo smart working un giorno a settimana già prima del Covid, ma sicuramente la pandemia ha cambiato la modalità di interazione: vedendosi tutti i giorni in ufficio, era più facile chiedere aiuto, per esempio, e c’erano dei momenti dedicati proprio al confronto e al networking. Nel 2020 eravamo circa in 250 in InfoCert – oggi siamo in 330 – e a volte organizzavamo addirittura dei coffee break tutti insieme. Durante la pandemia ho cercato di mantenere questi momenti con diverse iniziative: una volta alla settimana, per fare un esempio, prevedevamo “il caffè con il CEO” durante il quale raccoglievo incertezze, cercavo di “tenere unite le truppe” per fare in modo che non si perdessero quei preziosi momenti di condivisione che creano engagement e senso di appartenenza all’azienda, mi mettevo a disposizione sia per dare risposte concrete sia per questioni più informali. Sempre in quel periodo ho iniziato a collaborare in maniera più strutturata con il reparto HR sulle strategie di sviluppo: siamo una multinazionale con l’head quarter in Italia e filiali in diverse parti del mondo e per lavorare efficacemente uno degli elementi fondamentali è che le diverse culture armonizzino tra loro. Per questo motivo abbiamo puntato molto sul remote learning facendo l’abbonamento a diverse piattaforme e curando non solo le hard skill dei nostri dipendenti – quindi lavorando su certificazioni e nozioni tecniche – ma investendo anche sulle soft skill con corsi dedicati al linguaggio, alla comunicazione tra le persone con culture diverse, al perfezionamento dell’inglese, che vogliamo diventi la lingua ufficiale in azienda; l’obiettivo era quello di far evolvere chi già c’era piuttosto che assumere nuove persone: io ho spiegato questa strategia e la sua evoluzione affiancando l’HR».

 Così non si rischia un’ingerenza dell’AD?

«Assolutamente no. Lavoriamo insieme: io ho il compito di settare la direzione (con riunioni, convention, etc), ovvero dove dobbiamo andare e perché; l’HR segue poi “l’execution” ovvero il “come” arrivare all’obiettivo (per esempio tramite assessment delle competenze, percorsi di crescita, politiche volte al continuous improvement e al benessere delle nostre persone). In questo modo abbiamo assunto circa 200 persone in due anni e mezzo; io ho dato indicazione circa le skill necessarie e le Risorse Umane si sono occupate del resto e di mettere in pratica le mie indicazioni».

Come può il CEO conciliare l’orientamento business proprio del suo ruolo con il people management? Non si rischia di subordinare il bene delle persone al perseguimento degli obiettivi di business?

«Gli obiettivi principali non sono commerciali ma strategici. Ogni tre anni attuiamo una politica di cambiamento forte: lavoriamo su 70 gruppi bancari in 33 Paesi, supportiamo le principali utility, telco e aziende insurance, ma abbiamo iniziato lavorando solo dall’Italia e solo come certification Authority; siamo in breve passati a vendere “soluzioni” in oltre 40 Paesi. Dallo sviluppare con tecnologie “classiche”, abbiamo adottato tecnologie versatili e personalizzabili, il cui sviluppo è maggiormente in Italia. Abbiamo creato piccoli team che collaborano tra loro a livello internazionale: l’ultima acquisizione, in fase di closing, è in UK con un centro di sviluppo in Pakistan sulla cyber security; in Tunisia, invece, abbiamo aperto una facility dove personalizziamo il software: abbiamo un team che sta crescendo con laureati, ottime condizioni di lavoro e grande soddisfazione di tutti; la nostra sfida è lavorare in team internazionali in maniera efficace e per questo due elementi sono ancora fondamentali: incontrarsi di persona e l’apertura culturale del manager».

Rovesciando il paradigma, la visione business-oriented del CEO può aiutare una strategia sulle persone che porti ROI?

«I risultati si ottengono se tutti ci credono! Siamo cresciuti del 18% con un utile netto di 20 milioni di euro su 140 di fatturato; questo crea valore, attrae talenti e fa crescere le persone. Ogni anno dobbiamo metterci in discussione e dobbiamo adattarci alle regole più degli altri; infatti, dobbiamo stare al passo sia con l’evoluzione tecnologica sia con quella normativa poiché siamo la Certification Authority più grande d’Europa e spesso addirittura i legislatori si rivolgono a noi perché portiamo casi concreti; non di rado ci invitano a partecipare a tavoli tecnici dell’Unione Europea per avere spunti sull’evoluzione che dovranno prendere determinate norme».

Possiamo affermare di essere nell’era del “people before business”?

«Io direi “people and business together”: non ci può essere uno senza l’altro; senza people care non c’è business» conclude Cattaneo.

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