Lavori di prossimità, tutti pronti per la Fase 2

Uno studio della Fondazione Consulenti del lavoro riflette su come queste categorie professionali dovranno riorganizzare le proprie attività

prossimita

Camerieri, commessi, operatori sanitari, infermieri, ma anche parrucchieri ed estetiste, e in generale tutte le figure che sono a contatto con il pubblico, per un totale di 6 milioni e 145 mila persone: per questa categoria di lavoratori, detti “di prossimità”, la famigerata Fase 2 cambierà di molto le modalità di lavoro a cui erano abituati.

L’ultimo studio della Fondazione Consulenti del lavoro, realizzato su dati Istat, cerca di mettere a fuoco come avverrà questa riorganizzazione, necessaria a garantire la sicurezza: occorrerà controllare che entri nei locali il numero consentito di persone, che dovranno mantenere il distanziamento richiesto e adottare tutta una serie di procedure obbligatorie.

A essere interessati da questi cambiamenti saranno professioni legate prevalentemente al mondo dei servizi e del commercio, dove è occupato rispettivamente il 70% e il 28,4% dei lavoratori: “A livello geografico quasi la metà (48,7%) è al Nord, il 28,5% al Sud e isole e il 22,7% al Centro”, si legge nello studio.

Commercianti e addetti alle vendite

Questo è il gruppo più folto: 1 milione 723 mila persone, ovvero il 28% delle professioni di prossimità. Si tratta di un comparto che spazia dagli alimentari – che non hanno mai chiuso – fino all’abbigliamento, che con la fine del lock down dovrà pensare ad ampliare gli orari di apertura e a incentivare la consegna a domicilio e la vendita on line, attivando promozioni, anche nell’ottica di smaltire gli assortimenti in magazzino.

Ristoratori ed esercenti (1 milione 154 mila, pari al 18,8% delle professioni “di prossimità”) sono la categoria che dovrà rivoluzionare più di tutte l’organizzazione, visto che i tavoli dovranno essere distanziati, magari anche immaginando un doppio turno, laddove possibile. È probabile che in molti casi venga rivisto l’organico, ma potrebbe anche accadere che dalla crisi si traggano insegnamenti utili per la propria attività, da incrementare attraverso l’asporto e la consegna a domicilio.

Professioni sanitarie

Tra tecnici, operatori sanitari e infermieri si parla di 976 mila unità, cui si aggiungono 302 mila medici che dovranno rivedere la propria modalità di lavoro, così come hanno già fatto i colleghi che operano in prima linea nella lotta al virus. “Oltre alla fornitura dei necessari dispositivi di sicurezza, e un’attenzione maggiore all’igiene di ambienti e strumenti di lavoro, sarebbe auspicabile anche un rafforzamento dell’orientamento alla sicurezza e soprattutto alla prevenzione, per garantire la salute personale e dei pazienti”, riferiscono i consulenti del lavoro. Chi lavora nelle strutture e non a domicilio dovrà ripensare gli spazi per garantire sicurezza al personale e all’utenza.

Servizi personali (parrucchieri, barbieri, estetiste, logopedisti)

Si tratta di 776 mila unità (il 12,6%) che svolgono mansioni in cui è prevista una notevole vicinanza con l’utenza e che dovranno acquisire, in termini di sicurezza, le stesse competenze di cui sono in possesso gli operatori sanitari. “A partire dal mestiere vero e proprio (si pensi alla dimensione della manualità, elemento distintivo di tali lavori, vincolato dall’obbligo dei guanti) all’organizzazione degli spazi, al contingentamento delle entrate, a una maggiore attenzione per l’igiene e cura dei locali e degli strumenti di lavoro”, sottolinea lo studio. Sarà tuttavia obbligatoria la prenotazione degli appuntamenti, fondamentale soprattutto per le strutture di piccole dimensioni.

Le operatrici di pulizia a domicilio sono la categoria di cui meno si è parlato durante la Fase 1 e rappresenta 449 mila persone, il 7,3%. È evidente che, in questo caso, dovranno essere rispettate le norme di sicurezza all’interno delle abitazioni.

Quale tempistica?

“Tra le ipotesi di uscita graduale dalla chiusura, si è parlato spesso di una tempistica differenziata per genere e target generazionali”, precisa lo studio dei Consulenti del lavoro. Se le donna fossero le prime a rientrare non ci sarebbero grosse criticità, visto che rappresentano la categoria numericamente più corposa all’interno di queste professioni: nel 2019 i lavori di prossimità erano svolti per oltre il 50% da donne. Da un punto di vista generazionale, inoltre, queste posizioni sono occupate solo al 19,7% da lavoratori che hanno un’età superiore ai 55 anni, eccetto che per la categoria dei medici, tra le cui fila l’età anagrafica è più elevata.

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