Lavoro e relazioni industriali al tempo dei social, quando il pubblico si fonde col privato

L’allarme di Marco Marazza, giuslavorista e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore: “La rappresentanza sindacale e l’intermediazione non devono venire meno; serve una legge”.

Marco-Marazza

Che i social abbiano un impatto dirompente sulle vite delle persone è ormai noto, ma che possano anche modificare gli assetti democratici che stanno alla base dei rapporti di lavoro è un fatto meno discusso. Pubblico e privato si fondono in una bacheca, in una chat o anche in una mailing list, con tutti i limiti e i rischi che questa sovrapposizione può comportare. Marco Marazza, avvocato del lavoro e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, studia queste implicazioni e lancia un messaggio chiaro: “Serve una legge sulla rappresentanza sindacale”.

Professor Marazza, può inquadrare la situazione?

Quando si parla di questi argomenti i temi sono vari. Uno, ad esempio, riguarda i datori di lavoro e l’opzione di limitare o meno l’uso dei social durante l’orario di ufficio: l’approccio conservativo opta per escluderne l’utilizzo, ma nelle grande organizzazioni la tendenza accentuata è opposta, anche perché in molti casi i social sono utilizzati come strumenti di lavoro.

Come si incrociano sfera pubblica e sfera privata?

Bisogna vedere quali sono i limiti che le persone hanno nell’utilizzo dei social e analizzare in che misura il rapporto di lavoro può incidere sull’utilizzo privato di questi strumenti. Se ad esempio un lavoratore esprime opinioni personali identificandosi, tuttavia, come dipendente di una certa azienda, allora in questo caso è l’impresa stessa ad avvertire la necessità e il diritto di poter porre dei limiti. È evidente che, se nel proprio profilo, ci si presenta come dipendente di un’impresa, non si possono fare commenti a sfondo sessuale o comunque intervenire su temi molto sensibili. Per questo molte aziende hanno elaborato delle specifiche policy sull’utilizzo dei social network, limitandone l’uso. Quando accade che, a mezzo social, alcune persone violino il contratto, magari diffamando o esprimendo opinioni oggettivamente incompatibili con l’essere un dipendente, questi fatti possono essere utilizzati per arrivare a un provvedimento disciplinare.

Faccio un esempio concreto: è accaduto che un dipendente dell’amministrazione penitenziaria abbia espresso in un post un’opinione che metteva molto in discussione l’operato dell’amministrazione stessa: il Tar ha ritenuto lecito il licenziamento.

Esiste una differenza tra i gruppi chiusi e quelli aperti?

Certamente sì: quando si scrive qualcosa su un social aperto è come fare una dichiarazione pubblica.  Sebbene ci siano casi in cui le affermazioni espresse in gruppi chiusi possono avere rilevanza anche per “l’esterno” e arrecare un danno.

Come impatta l’uso dei social – intesi in senso ampio anche come mailing list, communities, eccetera – sulle relazioni sindacali?

I social incidono anche sulla rappresentanza sindacale, frammentandola. Accade sempre più spesso – soprattutto ai giovani – di formarsi e informarsi sui social invece che nelle assemblee sindacali. Il sindacato, dal canto suo, ha necessità di capire meglio come utilizzare questi strumenti, che stanno diventando un canale diretto con i dipendenti da parte dei datori di lavoro. Rischiano di venire a mancare in questo modo i ruoli di rappresentanza e intermediazione. Una domanda è: se c’è una trattativa sindacale importante in corso, il datore di lavoro può parlare con i dipendenti? Esistono addirittura casi in cui l’impresa ha creato profili fake per sondare l’opinione dei propri dipendenti… Insomma, in un contesto in cui i lavoratori tendono ad avere sempre più posizioni non “controllate” dal dialogo con il sindacato, è necessario riflettere. Nel convegno che abbiamo organizzato a Montepulciano lo scorso luglio – intitolato Luci sul lavoro, nuove tecnologie e relazioni industriali – Rappresentanza, diritti sindacali e negoziazione collettiva abbiamo parlato proprio di questi temi. Dal mio punto di vista è importante che questo massiccio utilizzo dei social non porti a una eccessiva individualizzazione delle tutele del lavoro, perché la democrazia diretta della disintermediazione non è utile al lavoratore. Quando sono in corso trattative complicate, gruppi di lavoratori che si mettono insieme disorientano le trattative stesse. Negli Usa è in corso un acceso dibattito su questi temi e ci sono norme che di fatto impediscono la costituzione di questi gruppi. La nostra Costituzione prevede la libertà sindacale ma, vista la discussione in corso, si fa sempre più forte l’esigenza di una legge sulla rappresentanza.

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