TAVOLA ROTONDA

L’Hr dopo il virus: coraggioso, flessibile, responsabile

In tempi di coronavirus, la gestione del personale è stata la prima linea delle imprese e lo è ancora nella fase 2: soprattutto per quanto riguarda il presidio sulla sicurezza, ma l’hr è anche il punto di riferimento delle persone in uno scenario complesso e con poche certezze. Come sono state gestite l’emergenza e la fase 2? Quali sono le sfide  che gli hr hanno davanti? Come cambieranno la funzione e il ruolo nei prossimi anni alla luce della pandemia che ha investito l’intero pianeta?

Voci e idee a confronto: Santino Carlino, Paolo Iacci e Stefano Bottaro.

Santino Carlino

Santino Carlino è Chief HRO di PROMETEON TYRE GROUP, 7.000 dipendenti nel mondo (di cui mille white collar), quattro stabilimenti tra Egitto, Turchia e Brasile e quartier generale a Milano.

Come ha vissuto la gestione dell’emergenza, dal punto di vista personale e professionale?

In premessa direi che questa esperienza Covid ci ha ricordato quanto l’imprevedibilità, la vulnerabilità e l’incertezza rimangano valori e concetti su cui costruire il futuro. Questo vale sia per l’individuo che per le organizzazioni. L’impatto del virus è stato dirompente per la velocità e la profondità con cui ha cambiato contorni, abitudini e logiche che sembravano consolidate. La prima cosa che abbiamo fatto è stata la messa in sicurezza delle persone, con l’attuazione dei protocolli e delle azioni HSE, poi ci siamo concentrati sulla business continuity nel rispetto e tutela delle persone. Abbiamo pianificato da subito azioni di smart working per tutti i white collars, in due fasi: la prima con attivazione volontaria chiedendo a ogni dipartimento di organizzarsi per una rotazione che prevedesse una presenza giornaliera di non più del 50% dei componenti del gruppo, la seconda in cui la quasi totalità delle persone hanno lavorato in modalità agile. Parallelamente abbiamo guidato la fase di gestione emergenza sulle nostre diverse Country produttive: attivazione dello slowdown sui nostri plant e successivamente la pianificazione di un periodo di chiusura, che ci ha permesso di far fronte all’emergenza con un anticipo utile ed efficace.

È stato difficile gestire l’emergenza in più paesi  e districarsi tra le varie regolamentazioni?

Non particolarmente. I nostri protocolli aziendali, molto rigorosi, prevedono un livello di sicurezza elevato, maggiore di quanto previsto dalle diverse regolamentazioni. Per essere a norma e lavorare in sicurezza abbiamo applicato i nostri protocolli.

Come è andata?

Molto bene. In Egitto e Turchia siamo ripartiti. In Brasile c’è una situazione diversa, particolare. Nell’azione di prevenzione ha aiutato il fatto che l’Italia sia stata colpita prima dall’emergenza e questo ci ha consentito di trasferire ai nostri colleghi all’estero l’urgenza di intervenire e la serietà della situazione.

Dal punto di vista umano, come è stata?

È stato appassionante contribuire a garantire  la sicurezza delle persone e il funzionamento dell’organizzazione ma soprattutto avere l’opportunità unica di poter profondamente ripensare al domani. É una grande sfida che considero una grande opportunità di apprendimento e innovazione.

Ci può spiegare meglio?

Un ingrediente importante ha caratterizzato l’emergenza Covid, toccandoci tutti, è la paura.

Questo momento storico che abbiamo vissuto mi ha fatto capire molte cose che già sapevo o avevo letto e approfondito sul tema paura e vulnerabilità, ma come sempre l’esperienza lascia un segno che è unico. Molte volte è stata citata la frase del giudice Falcone: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare da questa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza”, e mai come in questo momento lo stiamo sperimentando come individui e organizzazioni. Sperimentando la paura abbiamo avuto e avremo la grandissima opportunità di sperimentare il coraggio, quello vero, quello che ci porta con coscienza a prendere decisioni diverse dalle nostre abitudini. Facendoci pensare oltre gli schemi per trasformarci e diventare ciò che vogliamo veramente. Rimanendo in ascolto di noi stessi, interrogandoci sul vero scopo sia esso organizzativo che personale. In una parola il “WHY”.

Torniamo al ruolo del direttore del personale in quei momenti difficili…

L’immagine che vedo è quella di una barca che sorpresa da una tempesta deve rapidamente mettere se stessa e il suo equipaggio in sicurezza, definendo la destinazione e la rotta più vantaggiosa e sicura. Abbiamo agito senza dimenticare che la tempesta passa e il futuro arriva. Questo sguardo strabico tra presente e futuro è determinante per un direttore del personale perché ci permette di guardare contemporaneamente a ciò che accade nel presente e focalizzare l’attenzione sul futuro.

Concretamente cosa avete fatto in Prometeon?

In quei giorni è nato il progetto GET FIT for the FUTURE. Una “palestra” che ha permesso di dare visione, sfruttare e dare significato a un tempo e a un momento a cui nessuno era pronto. Questa “palestra” di formazione e sviluppo è costruita su tre pillars: I Prometeons, per vivere l’engagement; Learning Workout, per migliorare le competenze chiave delle persone; Food for the Future, per ispirarsi e condividere idee e visioni per affrontare il futuro. Ad aprile abbiamo lanciato la “palestra” a livello globale con tanti contenuti (oltre 120 meeting e 30 webinar) e soprattutto con una partecipazione e un ritorno di soddisfazione e ingaggio che ci hanno fatto capire di aver colto un notevole bisogno delle persone. E infatti continueremo e rafforzeremo questa iniziativa.

A proposito di futuro, come cambierà il ruolo dell’Hr manager, anche alla luce dell’emergenza coronavirus?

Il cambiamento che affronteremo non ha nulla di certo e ha pochi elementi di cornice e contesto. Per questo diventa fondamentale avere un ruolo da change agent con idee e soluzioni che escano dagli schemi. Sempre più il direttore del personale sarà colui che mostra le possibilità, che immagina il nuovo, che esce dalle technicality e diventa interprete di bisogni e sistematizzatore di modelli. Definiamo e mostriamo prototipi di cambiamento, con la consapevolezza che questi a volte funzionano e a volte no.  Proprio per questo non bisogna arrendersi.

Quali sono le sfide che vede per gli hr?

In ordine sparso: lo smart working può realmente diventare parte integrante del nuovo modo di lavorare; i modelli di leadership si devono arricchire di nuove competenze; la definizione di obiettivi va rivista perché la performance non ha più a che fare solo con il tempo dedicato ma con il risultato raggiunto; il controllo cambia i suoi connotati basandosi su analisi di realtà e non più su strategie di potere; la responsabilità diventa un driver di motivazione e la fiducia un importante asset di realizzazione. In questo scenario, il compito del direttore HR è trasformare tutto questo in contesto, modelli, struttura, organizzazione, layout, procedure, programmi. In pratica dare realtà e sostanza a questi cambiamenti nella vita delle organizzazioni e delle persone che ci lavorano.

Paolo Iacci

Paolo Iacci è presidente di Eca Italia e docente di Gestione delle risorse umane alla Statale di Milano. È inoltre presidente di AIDP Promotion, direttore scientifico del Master HR Executive del Sole 24 Ore.

Quali sono le principali sfide che, nell’immediato, gli hr dovranno affrontare?

Proviamo a procedere per titoli. Quello che viviamo è uno scenario ad altissima volatilità, quindi servono modelli iperflessibili. Poi c’è, e non è secondario, un tema legato all’angoscia delle persone e servono leadership affidabili capaci di rassicurare. C’è la sfida della sicurezza sul lavoro e della costruzione di un modello in grado di garantire chi torna al lavoro. Infine un punto di cui si parla ancora poco ma è lì davanti ai nostri occhi, un muro sul quale andremo a sbattere: la grave recessione nella quale siamo entrati.

Non basteranno gli aiuti pubblici nazionali o internazionali?

Serve tutto, per carità. Ma non illudiamoci di risolvere i problemi delle imprese che non riapriranno con il reddito di emergenza. C’è una stima, che mi sembra ottimistica, di circa mezzo milione di posti di lavoro persi e a fronte di questo non vedo progetti sul rilancio, cioè cantieri da aprire, investimenti nella sanità, realizzazione della rete a banda larga in tutto il Paese. A tutto questo andrebbero poi aggiunte delle vere politiche attive del lavoro, non a quella farsa sui navigator e la riforma dei Centri per l’impiego: costi enormi, risultati ridicoli e un modello che non funziona.

Come cambierà il ruolo dell’Hr, anche alla luce di quello che abbiamo vissuto con la pandemia?

Non sembri una contraddizione ma vedo da un lato un ritorno ai fondamentali, dall’altro una grande accelerazione sull’innovazione. Per ritorno ai fondamentali intendo il badare al sodo, il discutere non con quali strumenti si dovrebbe fare, ad esempio, il reskilling ma se questo viene o non viene fatto. Diciamo che tutta la parte “entertainment” e retorica legata all’hr è destinata a sparire: la differenza la faranno i fatti, non le chiacchiere. La spinta all’innovazione deriva dalla constatazione che il vero driver dei prossimi anni è la tecnologia. Senza addentrarsi troppo in dispute filosofiche sulla ricerca di un nuovo equilibrio tra uomo e natura, ma pare indubitabile che la funzione hr sarà sempre più digitalizzata: dagli hr analytics alla digitalizzazione del recruiting, dall’uso dei dati alla formazione sempre più da remoto. Poi ci saranno cambiamenti legati alla gestione dell’home working, sdoganato dalla pandemia e da non confondere con lo smart working che è una modifica organizzativa, un cambio di modello. Cambiamenti che vedranno il coinvolgimento forte degli hr. La spinta all’home working causata dal coronavirus ha sdoganato una possibilità organizzativa e modificato abitudini. In futuro ci sarà maggiore dislocamento del lavoro che, prima o poi, porterà al passaggio da un modello basato sul comando e controllo  a uno basato su pianificazione e monitoraggio.

Stefano Bottaro

Stefano Bottaro è Direttore risorse umane di Avio Spa. Esperienze precedenti in ambito Hr in grandi gruppi multinazionali e italiani.

Come vi siete attrezzati per la gestione dell’emergenza coronavirus?

Partiamo da un dato di sostanza dal punto di vista normativo:  il 14 marzo è stato approvato il protocollo sulla sicurezza sul lavoro nelle aziende tra governo e sindacati, noi eravamo già allineati con il 95% di quelle previsioni. Sul tema sicurezza, nei giorni precedenti alla sottoscrizione del protocollo, avevamo già provveduto a: verifica della temperatura all’ingresso in azienda; distribuzione di mascherine e tute ai dipendenti;  chiudere la mensa provvedendo con sacchetti e pasti caldi consegnati singolarmente; sanificazione settimanale degli ambienti;  ad attivare lo smart working in tutti i casi possibili (è passato dal 3% al 92%); a raddoppiare e, in alcuni casi, triplicare, il numero delle navette che portano il personale da Roma e da Frosinone e di quelle interne, per avere il distanziamento necessario. C’è stato un grande impegno per il personale, quel protocollo non ci ha colto di sorpresa e non ci siamo limitati solo all’ambito strettamente lavorativo: abbiamo sottoscritto anche due assicurazioni: un’assicurazione sanitaria Covid per tutto il personale in caso di ricovero ed una “caso morte” e anche la possibilità di chiedere un supporto psicologico, attraverso la consulenza gratuita di una stimata professionista.  L’attenzione alla sicurezza è massima, anche ora che la fase più intensa è alle spalle. Abbiamo organizzando una trasferta in Guyana del nostro personale, nella massima sicurezza.

In Guyana?

Sì, nella base di lancio internazionale di Kourou, per la gestione dei voli 16 e 17 del nostro vettore Vega. Per il personale che andrà in Guyana abbiamo previsto: un medico dedicato a disposizione del personale, una dotazione di farmaci per il personale in missione,  un viaggio aereo “charter” riservato solo alle persone che andranno in missione,  un periodo di quarantena in Italia e lo stesso in Guyana,  un’auto per ogni persona per gli spostamenti in loco, un appartamento o stanze singole per ognuno di loro ed una assicurazione che prevede  la possibilità di rientro immediato via aereo in caso di malattia accertata. Oltre alla trasferta, dall’inizio della fase 2 abbiamo provveduto alla distribuzione giornaliera di mascherine chirurgiche al personale che è rientrato, anche se molti sono ancora in smart working, seppur parziale. Inoltre distribuiamo anche guanti e tute agli addetti che operano in determinati reparti. Ai nostri dipendenti che hanno continuato a lavorare nella produzione, sia operai che impiegati di produzione, abbiamo riconosciuto un bonus aggiuntivo a quello stabilito dal governo ed alcuni omaggi nel periodo di Pasqua.

Che impegno ha richiesto al team hr la gestione di questa fase?

È stato un lavoro molto impegnativo…Il mio team lavora in smart working con modalità rodate ed efficaci che ci consentono di gestire al meglio i processi. Oggi stiamo gestendo quello che abbiamo costruito nei giorni della grande emergenza: tra fine febbraio e fine marzo abbiamo lavorato quasi esclusivamente sulla gestione del Covid 19. E, mi faccia dire, sono tutte misure che avranno un impatto importante sui costi aziendali.

Sentivate la responsabilità verso le persone?

Molto! Oltre ad avere sempre ben presente che ogni dipendente è una persona prima che un qualcuno che deve essere messo in condizione di lavorare in sicurezza, ci sono anche le direttive Inail che considerano infortunio sul lavoro ogni caso di Covid. È l’azienda che deve dimostrare la propria estraneità e di aver predisposto tutte le misure per evitare il contagio.

Alla luce del coronavirus, come cambierà la gestione delle risorse umane?

Diciamo che nel periodo di convivenza con il virus, il principale impegno sarà quello di lavorare, gestire i team e motivare le persone da remoto. Bisogna essere in grado di dare obiettivi alle persone, riorganizzare la formazione, ripensare gli spazi perchè non potranno rientrare tutti, almeno in un primo momento. Dobbiamo abituarci ad una situazione in cui una buona parte delle persone non saranno fisicamente in sede. Sarà un periodo di grandi cambiamenti e bisogna essere molti flessibili. Poi ci sarà una fase 3 in cui si faranno valutazioni più approfondite sugli immobili e sull’organizzazione del lavoro.

Gli hr sono pronti a questo cambiamento?

Non tutti. È sia una questione di mindset personale, sia di cultura aziendale.

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