Mercato del lavoro in Italia, luci e ombre nel post pandemia (prima parte)

Tra politiche attive, livelli salariali e divari da colmare, il mercato del lavoro italiano nel post pandemia si compone di luci e ombre: se da una parte l’occupazione dipendente ha dato segnali di ripresa – testimoniando la vitalità delle imprese – dall’altra persiste nettamente il gap di genere, così come il divario storico e cronicizzato tra le regioni del Sud e quelle del Nord, mentre il mismatch tra domanda e offerta è lontano dall’essere colmato.

mercato del lavoro in Italia

Quali sono le questioni più pressanti in Italia, i problemi del mercato del lavoro che richiedono riflessione e risoluzione più rapida? Lo abbiamo chiesto ad alcuni degli HR che saranno protagonisti della prossima edizione di Officina Risorse Umane, in programma il 19 e 20 novembre a Firenze. Ecco cosa ci hanno risposto Maria Rita Fortunato, CHRO Nexumstp, Paolo Iacci, Presidente AIDP Promotions, Rodolfo Magosso, direttore Risorse Umane & Relazioni Industriali Ignazio Messina & C., Anna Illiano, Chief Transformation and People Officer MA Group, e Gianluca Dardato, Chief HR Officer Esaote.

Rischio stagflazione

«In un contesto macroeconomico che prevede per i prossimi anni un andamento economico lento e un’inflazione sopra la media ovvero lenta crescita e alta inflazione, la “stagflazione” sarà il fenomeno economico dominante» analizza la situazione Maria Rita Fortunato, CHRO Nexumstp, che prosegue: «Di conseguenza avremo un’inflazione della domanda che già a oggi produce per l’Occidente un aumento dei prezzi dei prodotti energetici  e per gli Usa l’eccesso di liquidità. Ciò produce una preoccupazione a livelli del board riscontrabile a qualunque latitudine ovvero l’esigenza di proteggere i margini e il cash flow reale. Da qui la soluzione alla preoccupazione: ridurre i costi. Tuttavia la riduzione può essere reattiva, ovvero trasferendo l’aumento dei costi sul prezzo per i consumatori finali oppure proattiva, ovvero riducendo il costo del lavoro. Accanto a ciò il labour shortage (mismatch), fenomeno già presente e acutizzato negli ultimi mesi, ha determinato una forte criticità soprattutto sui verticali di mercato, in primis IT, TLC, agricoltura, logistica, ospitalità in genere, servizi alla persona e trasporti.

Alla luce di questo scenario macroeconomico i trend più significativi sui quali saremo chiamati a operare con soluzioni efficaci nel prossimo futuro saranno certamente l’automazione e il suo impatto sulla forza lavoro, il lavoro ibrido e la relativa trasformazione del modo di lavorare e l’employee experience per migliorare la produttività».

Il Paese dei paradossi

Afferma Paolo Iacci, Presidente AIDP Promotions: «In Italia si sta verificando un paradosso evidente. Stiamo diventando sempre meno e sempre più vecchi. Ogni sette nascite, contiamo 13 decessi. La vita media oggi è di 46 anni, dieci anni fa 44, vent’anni fa 42. Eppure, da trent’anni abbiamo disinvestito sulla formazione di base: i test Invalsi ci dicono che siamo all’ultimo posto in UE. Abbiamo più di un milione di Neet, il più alto numero in Europa. Eppure, ai giovani continuiamo a offrire soprattutto stage e lavori precari. Nel 1980 un laureato entrava nel mondo del lavoro a 24 anni, oggi a 27. Ogni anno emigrano più di centomila persone, la grande maggioranza giovani. Di questi il 40% è laureato. In tasca hanno lauree in medicina, ingegneria ed economia. Provengono dalle aree del Paese con i più bassi tassi di disoccupazione: Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia. Non è più l’emigrazione di una volta. È l’emigrazione dei più bravi, di chi cerca un lavoro con prospettive di crescita professionale concreta e di alto profilo. Come si vede, questi paradossi vanno recisi alla radice. Dobbiamo ricominciare a investire sulla formazione, con l’obiettivo di alzare il livello della preparazione dei nostri ragazzi. Questo però avrà effetti solo sul lungo periodo. Sul breve, sostenere la diffusione degli Its, spingere in tutti i modi l’occupazione regolare dei giovani e rivedere la possibilità di “importazione” di personale straniero con contratti regolari da estendere anche ai diplomati (oggi il permesso riguarda solo i laureati)».

Criticità che si ripetono

«Recentemente sono stati portati all’onore della cronaca alcuni problemi tipici del mondo del lavoro – commenta Rodolfo Magosso, direttore Risorse Umane & Relazioni Industriali Ignazio Messina & C.–. Sono stati introdotti nel nostro ordinamento misure socialmente importanti, volte a ridare dignità alla condizione umana, che a mio parere risultano scarsamente efficaci rispetto all’obiettivo di condizione “ponte” per incentivare la ricerca di un posto di lavoro. Il problema si identifica nella creazione di strumenti pensati come intervento “spot” e non in un’ottica di sistema, ovvero senza la predisposizione di strumenti di verifica circa la reale proattività nella ricerca, soprattutto se in presenza di offerta. Pochi sanno che nel corso dell’estate il comparto di lavoro marittimo ha dovuto gestire un’importante mancanza di manodopera proveniente storicamente da specifici bacini territoriali. Durante il periodo turistico “caldo” di impiego dei traghetti turistici per le isole, era impossibile trovare personale di bordo quali camerieri, cuochi, addetti alle cabine, marinai, al punto di dover richiedere al Ministero la possibilità di imbarco di personale extracomunitario sulle tratte nazionali, pratica precedentemente vietata, per non dover bloccare i flussi turistici. Inspiegabilmente fino all’anno precedente le cronache registravano un importante eccesso di domanda rispetto all’offerta di lavoro. Un altro punto cruciale è rappresentato dal tema salario minimo. Sono per il mantenimento della facoltà delle parti sociali all’identificazione del giusto livello del costo del lavoro e non per la definizione in via legislativa e massiva. Rispetto ad altri Paesi l’Italia si distingue per la capillarità della contrattazione di primo livello. In tale capillarità, se visioniamo la banca dati del Cnel, troviamo fantomatiche piratesche sigle firmatarie di “contratti” in evidente dumping normativo ed economico. Nuovamente abbiamo gli strumenti per verificare ed intervenire. Nuovamente non lo facciamo».

Un mosaico da (ri)comporre

Anche Anna Illiano, Chief Transformation and People Officer MA Group, pone il focus sulle criticità del Belpaese: «È indubbio che le politiche di sostegno dell’occupazione richiedano fortemente una nuova governance. Oggi serve ricostruire, come un mosaico da ricomporre a fronti di nuovi “pezzi”. Per lo sviluppo di questo Paese serve ricostruire partendo proprio dalle politiche attive, per mettere a disposizione quel capitale umano che è oggi il vero problema delle aziende, che non trovano personale in molti settori. Politiche attive per mettere in moto tutte le persone che sono in grado di lavorare, consentendo a queste di acquisire nuove competenze e riattivarle. Per intervenire sugli squilibri tra domanda e offerta di lavoro serve un patto tra tutti gli attori istituzionali puntando alla regolamentazione del mercato del lavoro, della disciplina del lavoro e delle condizioni di controllo delle dinamiche retributive. Servono nuove misure che favoriscono la capacità di inserimento professionale e lo stimolo della domanda di lavoro. Serve, e non è trascurabile, il tema del welfare (non politiche passive) e serve un accompagnamento alla pensione per la sostenibilità del lavoro. Servono azioni  che proteggano i lavoratori più in difficoltà e serve gradualità nel gestire i pensionamenti. È strategica e deve essere quindi strutturale la cooperazione tra sistema pubblico e privato, adottare una cornice unitaria nazionale delle politiche attive, definire i percorsi formativi di upskilling, reskilling e cross-skilling sulla base delle reali esigenze delle imprese. Il nostro mercato del lavoro è caratterizzato da peculiarità distoniche quali: mismatch fra domanda e offerta, salari bassi, disoccupazione giovanile e femminile, un unicum nel panorama internazionale. A questo va aggiunto la totale assenza e concentrazione di risorse statali nei processi di formazione scolastica, universitaria e lavorativa. Servono quindi investimenti nel settore scolastico e universitario per accrescere nei prossimi dieci anni la qualità e quantità dei nostri laureati (che sono ancora pochi, non oltre 20,1% contro il 38% della media europea), collegandovi percorsi finanziati di formazione durante tutta la vita lavorativa».

Punti deboli tipicamente italiani

«A mio avviso è assolutamente indispensabile – e inderogabile – un piano industriale di Paese, in cui si definiscano le strategie per lo sviluppo dei prossimi anni» afferma Gianluca Dardato, Chief HR Officer Esaote. «Solo sulla base di un progetto chiaro e condiviso – prosegue Dardato – è possibile costruire un nuovo patto per il lavoro tra tutte le parti coinvolte (Governo, aziende, sindacati), che consenta di dare risposte concrete a quelli che sono i gap da colmare: differenze di genere, riduzione delle pressione fiscale sul lavoro dipendente, salario minimo adeguato al reale costo della vita individuato per macroaree, contrattazione collettiva – effettivamente applicata, sia alle imprese del Nord sia a quelle del Sud  e in particolar modo alle piccole aziende, in cui non sempre la tutela dei diritti è garantita –. È quindi evidente la necessità di trovare un equilibrio tra la flessibilità in ingresso e in uscita per le grandi aziende, e una maggior tutela per i lavoratori delle piccole, a cui si devono affiancare soluzioni per rendere efficaci le politiche attive del lavoro.

Esattamente come avviene nelle aziende private, in cui solo se ci sono degli obiettivi chiari, condivisi e correttamente comunicati, è possibile vincere le sfide del mercato, solo attraverso la definizione di un solido Piano Industriale Nazionale sarà possibile garantire competitività al sistema industriale e fornire una risposta concreta a quelli che sono evidenti punti di debolezza del mercato del lavoro italiano».

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