Mercato del lavoro in Italia, luci e ombre nel post pandemia (seconda parte)

Tra politiche attive, livelli salariali e divari da colmare, il mercato del lavoro italiano nel post pandemia si compone di luci e ombre: se da una parte l’occupazione dipendente ha dato segnali di ripresa – testimoniando la vitalità delle imprese – dall’altra persiste nettamente il gap di genere, così come il divario storico e cronicizzato tra le regioni del Sud e quelle del Nord, mentre il mismatch tra domanda e offerta è lontano dall’essere colmato.

luci ombre mercato del lavoro

Quali sono le questioni più pressanti in Italia, i problemi del mercato del lavoro che richiedono riflessione e risoluzione più rapida? Lo abbiamo chiesto ad alcuni degli HR che saranno protagonisti della prossima edizione di Officina Risorse Umane, in programma il 19 e 20 novembre a Firenze: Alessandro Castelli, Direttore HR, Comunicazione e ESG Crédit Agricole Vita e Crédit Agricole Assicurazioni, Luca Bellomia, HR & General Services Director Artcosmetics, Tiziano Minuti, HR e Comunicazione Caronte & Tourist, Luca Battistini, HR & Organization Director Ecopol, e Andrea Peduto, Head of HR Edison.

It’s Yolo time!

«Il mercato del lavoro italiano non è mai stato semplice da analizzare a causa di retaggi culturali, vision distorte, assistenzialismo, che da sempre lo affliggono, ma la situazione si è resa ancora più complessa nel post-pandemia e dalle ulteriori incertezze generate dal conflitto in Ucraina» spiega Luca Battistini, HR & Organization Director Ecopol, che prosegue: «Cionondimeno ritengo che la priorità degli interventi riformisti debba focalizzarsi su tre drive. Il primo è il tema dello skill mismatching, ovvero la mancata corrispondenza esistente tra le competenze – tecniche, umane e sociali – acquisite dalle persone, specie dai giovani ancora in cerca di occupazione, rispetto a quelle richieste in ambito lavorativo dalle aziende; con il conseguente paradosso che da un lato esistono alti tassi di disoccupazione, mentre dall’altro le imprese faticano a trovare risorse qualificate, in possesso delle nuove competenze (soft e hard) legate alle professioni nascenti o che ancora non esistono. Il secondo tema è quello delle great resignation inteso come cambiamento epocale: il concetto tradizionale del lavoro fortemente gerarchizzato e basato su performance e produttività ha iniziato a scricchiolare e oggi, dopo due anni di pandemia, è in atto una trasformazione radicale. Alcuni parlano di “Yolo”, acronimo di “you only live once” (si vive una volta sola), o in altri termini “si lavora per vivere, non si vive per lavorare”. Questo nuovo approccio sta cambiando il punto di vista con cui i lavoratori si approcciano al mercato e di come decidono di posizionarsi al suo interno. Infine, il terzo drive riguarda le opportunità offerte dal Pnrr per le HR, ovvero una radicale riforma delle politiche attive del lavoro che sfocia nella istituzione del programma nazionale per la Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, nella costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione delle competenze e di accompagnamento al lavoro; nell’adozione del “Piano Nazionale Nuove Competenze”; nel rafforzamento dei centri per l’impiego; nella definizione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere; nel potenziamento del percorso di formazione e del Servizio Civile Universale».

Donne e giovani i più penalizzati

Precisa e perentoria l’analisi di Andrea Peduto, Head of HR Edison, che spiega: «Nel nostro mercato del lavoro ciò che accomuna opportunità e problemi in materia di politiche attive, livelli salariali e divari da colmare, sono i giovani e le donne. È il fenomeno tutto italiano del penalizzare più degli altri chi si affaccia al lavoro e deve sperimentarne le difficoltà di ingresso, la precarietà, la compressione salariale e la lentezza delle carriere. Spesso anche la bassa autonomia e i limiti alla creatività individuale. Ogni boomer italico – anche se affermato professionista HR – sperimenta, se genitore, come la profondità delle nostre distorsioni impatti sulle preoccupazioni per aiutare i propri figli a entrare e progredire nel lavoro. Sempre i professionisti HR, se volessero, avrebbero chiara però la risposta di uno dei perché: noi privilegiamo sempre (opportunità, stipendi, potere o pensioni) chi è arrivato prima, cioè i meno giovani, in genere maschi. Poi fabbrichiamo infinite gerarchie e coloro che sono arrivati in alto sulle scale sociali e coordinano altri, sono troppi. Troppi capi, capetti, dirigenti e direttori che stratifichiamo, nel pubblico come nel privato. Alla fine, per la fisica dei vasi comunicanti, le risorse non bastano mai per tutti!».

Il lavoro non più al centro

«Assistiamo in questi anni alla progressiva svalutazione del lavoro nella scala di priorità tra i bisogni primari dell’individuo, in Italia e nel mondo, in particolare tra le nuove generazioni ma anche tra chi si avvicina alla fine della carriera – dice Luca Bellomia, HR & General Services Director Artcosmetics –. Il mismatch tra domanda e offerta e la pressante richiesta di agevolazioni all’uscita, che si vorrebbe modulabile e flessibile, dal mondo del lavoro, ne sono alcuni degli effetti. Le cause principali sono ravvisabili nella pandemia, che ha impattato in tutto il mondo sul sistema valoriale ponendo enfasi sulla salute e sul sistema di relazioni, e sull’effetto del reddito di cittadinanza in Italia su un’ampia platea di lavoratori “deboli” che trovavano nel reddito, basso, l’unica motivazione per la propria attività lavorativa. Compito di chi gestisce oggi il capitale umano è quello di fornire costantemente e a tutti i livelli delle proprie organizzazioni un nuovo “committment” alle risorse, agendo su senso di appartenenza, accrescimento delle proprie abilità e benefit non monetari. E gestire la rapida evoluzione di molte attività lavorative verso modalità “a distanza”, con necessità di monitorarne la produttività e gli effetti sull’equità di trattamento nei contesti industriali dove solo piccole percentuali di dipendenti possono beneficiare dello smart working.

La salvaguardia e l’evoluzione del mercato del lavoro italiano richiedono quindi interventi riformatori del reddito di cittadinanza che ne riducano la platea di beneficiari ai soli inabili al lavoro. Per tutti gli altri percettori, in attesa di una collocazione lavorativa, dovrebbe diventare cogente l’obbligo a prestare attività “socialmente utili” (anche per scoraggiare abusi e rendere “socialmente” noto chi ne beneficia). Infine, nel trade-off tra lavoro e sussistenza sovvenzionata, è necessario trovare nuove forme di incentivazione economica e valorizzazione sociale del lavoro».

Formazione, imprese e istituzioni: sinergia vincente

«Per chi pratica la gestione delle risorse umane da più decenni, la denominazione di “politiche attive del lavoro” rievoca tempi lontani, metodologie pionieristiche e per ciò stesso generose ma approssimative, protagonisti avvolti in cortine di fumo non solo metaforico, produzioni dottrinarie il cui fascino risiedeva spesso nell’incomprensibilità». È quanto afferma Tiziano Minuti, HR e Comunicazione Caronte & Tourist, che prosegue: «Sfuggiva – e continua a sfuggire – il cuore di un problema che può trovare soluzione solo in un incrocio virtuoso tra formazione, imprese e istituzioni. Duole ma non sorprende che i think tank attuali riescano a proporre poco più che mere misure assistenziali di sostegno al reddito. Ci sono anche temi di rappresentanza dei nuovi lavori e delle nuove modalità di lavoro, di asservimento delle tecnologie alle buone pratiche e non viceversa, di una scuola non più liceocentrica che assicuri occupabilità immediata a competenze prequalificate in rapporto con il mondo della produzione di beni e servizi. Occhio: il merito, tornato lessicalmente di moda, senza pari opportunità di accesso rischia di avvelenare i pozzi del vivere comune. Ogni tanto riemerge il fiume carsico dei patti sociali: mai come ora però essi rappresentano lo strumento risolutivo di coesione e inclusione».

Digitalizzazione: la sfida di reskilling e upskilling

Secondo Alessandro Castelli, Direttore HR, Comunicazione e ESG Crédit Agricole Vita e Crédit Agricole Assicurazioni, «Negli ultimi anni sono avvenuti importanti cambiamenti nel mercato del lavoro, motivo per cui credo fortemente che servano profonde riflessioni sui processi in ambito HR in ottica di formazione, innovazione e digitalizzazione. Dobbiamo accrescere, infatti, una maggiore consapevolezza degli strumenti a nostra disposizione e per questo credo sia necessario continuare a investire in piani formativi dedicati. Il mercato del lavoro di domani, non potrà che basarsi sulle competenze digitali possedute dalle persone. Occorrerà, quindi, concentrare le energie nell’istituire piani volti ad accrescere le competenze anche di chi è attualmente all’interno del mondo del lavoro, tramite reskilling e upskilling, al fine di ridurre le ricadute che l’innovazione tecnologica può avere sugli attuali livelli occupazionali. La verità è che il divario storico tra le regioni del Sud e quelle del Nord viene attenuato da quello che è stato definito south working, un’opportunità per i giovani e il Sud Italia. La digitalizzazione sia una sfida cui siamo tutti chiamati e a cui non possiamo più sottrarci!».

error

Condividi Hr Link