Mercato del lavoro in Italia, luci e ombre nel post pandemia (terza parte)

Tra politiche attive, livelli salariali e divari da colmare, il mercato del lavoro italiano nel post pandemia si compone di luci e ombre: se da una parte l’occupazione dipendente ha dato segnali di ripresa – testimoniando la vitalità delle imprese – dall’altra persiste nettamente il gap di genere, così come il divario storico e cronicizzato tra le regioni del Sud e quelle del Nord, mentre il mismatch tra domanda e offerta è lontano dall’essere colmato.

mercato del lavoro

Quali sono le questioni più pressanti in Italia, i problemi del mercato del lavoro che richiedono riflessione e risoluzione più rapida? Lo abbiamo chiesto ad alcuni degli HR che saranno protagonisti della prossima edizione di Officina Risorse Umane, in programma il 19 e 20 novembre a Firenze: Maria Rosaria Brunetti, Direttore Risorse Umane, Organizzazione e People Development Gruppo CAP, Marco Monga, Human Capital and Organization Director dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Mariarosaria Carlesimo, HR Director Entain, Giovanni Gardini, Responsabile Risorse Umane e Sistemi Acque Bresciane, Andrea Arrighi, Vice President Human Resources & Organization Lagardère, Milena Cagnazzo, Head of Human Resources, CMCC Foundation e Adriano Caponetto, HR & Organization Director Rhenus Logistics.

Colmiamo i divari

«Il Paese necessità di una visione del futuro di almeno cinquanta anni dove le istituzioni e il governo si impegnano a dare stabilità, coerenza e continuità al mondo del lavoro in un’ottica di macro interventi, strutturali, che qualunque successione di governi non dovrà modificare» spiega Mariarosaria Carlesimo, HR Director Entain. «La priorità va data ai livelli salariali che con l’aumento, irresponsabile in alcuni casi, del costo della vita fanno piombare l’Italia fanalino di coda in Europa dove i giovani trovano opportunità e contesti sociali, tali che sono letteralmente invitati a lasciare il Paese o a concentrarsi al Nord Italia dove l’evoluzione e la crescita sembrano essere sempre più evidenti rispetto al Centro-Sud. Il divario uomo-donna si gioca a un livello culturale. Poco importano le analisi, i report e le quote rosa se l’approccio, anche in ambito scolastico, resta immutato. Gli interventi sulle politiche attive sono valide ma discontinue» conclude Carlesmo.

Gender gap da colmare, anche con obblighi normativi

Pone il focus sui divari anche Giovanni Gardini, Responsabile Risorse Umane e Sistemi Acque Bresciane: «Credo che i temi in campo per avviare una vera rivitalizzazione del mercato del lavoro siano veramente tanti, dalle politiche attive ai salari minimi, al fondo nuove competenze, al divario retributivo di genere o a quello tra nord e sud. Occorre tuttavia avere su di essi dapprima un approccio più scientifico, che consenta un’analisi più accurata delle reali emergenze, magari con utilizzo di survey più mirate e settoriali e dall’altra parte col maggior ricorso a veri e propri forum di esperti che consentano alle istituzioni di beneficiare in via continuativa di stimoli e contributi mirati.

Inoltre è importante, nello scegliere le priorità, valutare soluzioni utili ma in modo più strutturale, evitando il semplice ricorso a interventi spot di breve respiro.

Il rischio di divario retributivo di genere per esempio, non può essere semplicemente monitorato o mitigato con benefici di piccolo impatto per aziende virtuose: occorre ancor prima valutare per esempio come rendere più agevole l’accesso a materie Stem alle donne, requisito utile a promuovere percorsi di carriera stabilmente più remunerativi per loro e maggiore occupabilità. Senza disdegnare poi il ricorso a obblighi normativi, anche coraggiosi, che impongano de facto un cambio di rotta, come quello che dal 2011 ha imposto le quote di genere nei Cda delle azienda, che ha ormai portato le donne nei consigli d’amministrazione a essere vicine ormai alla soglia del 40%».

Contaminazioni utili

«La crescita economica che segue fisiologicamente il periodo post pandemia riporta in auge le tradizionali criticità del sistema del lavoro italiano evidenziando i trend da indirizzare e i gap da colmare» afferma Milena Cagnazzo, Head of Human Resources, CMCC Foundation, che prosegue: «Cionondimeno, durante la pandemia abbiamo avuto modo di osservare alcune dinamiche molto interessanti che, anche se originate in un contesto di emergenza globale, potrebbero suggerire delle direzioni da seguire in pianta stabile. Lo smart working diffuso ha generato, per lo meno nelle professionalità in grado di lavorare bene da remoto, un rimescolamento geografico delle competenze, portando professionisti abituati a vivere e a lavorare in regioni del Nord a trasferirsi, e a volte a ricollocarsi, al Sud. Incoraggiare tale contaminazione, continuando a facilitare sia il ricorso al lavoro agile che il collocamento al Sud, tramite meccanismi di agevolazione rivolti non solo ai datori di lavoro ma anche ai lavoratori, potrebbe continuare ad avere effetti benefici sul divario storico tra Nord e Sud. Nell’area della ricerca scientifica, a cui il CMCC appartiene, il mismatch tra offerta e domanda di lavoro si traduce spesso nella difficoltà per gli enti a reperire professionalità di alto livello. Le competenze richieste sono altamente specialistiche e settoriali e il mercato del lavoro di riferimento per attingervi diventa quello europeo, se non globale. Sicuramente delle politiche attive per l’occupabilità tese a calibrare la formazione delle nuove generazioni sulle reali esigenze dell’offerta di lavoro aiuterebbero a colmare tali gap, oltre a dotare tutto il territorio nazionale delle professionalità realmente utili alla sua crescita».

Formazione e istruzione superiore come volano per la competitività

«Fra le urgenze poste dalla transizione verde e digitale ci sono quelle del lavoro e delle competenze. Sono i temi al centro dell’Agenda Onu 2030, delle strategie Next Generation Eu e dei Pnrr nazionali – ricorda Maria Rosaria Brunetti, Direttore Risorse Umane, Organizzazione e People Development Gruppo CAP –. È un passaggio epocale che coinvolge sia le nuove generazioni, la cui preparazione al futuro deve essere programmata con visione prospettica, sia le generazioni già inserite nel lavoro, sempre più interessate da obsolescenza professionale. Tutto ciò è reso più complesso nel nostro Paese dalla diffusa inefficacia delle strutture dedicate alla gestione dell’incontro tra domanda e offerta del lavoro (Anpal, CpI, Agenzie), testimoniata dalla cronica difficoltà di gestire il mismatch tra la disoccupazione più alta in Europa e moltissimi posti di lavoro non occupati per mancanza di disponibilità: un fenomeno che accomuna il Nord al Sud.

Le strutture pubbliche e private sono centrali se sinergiche, ma il soggetto che esprime con maggiore puntualità la qualità del lavoro necessario è l’impresa e il suo coinvolgimento attivo è fondamentale, come ci insegnano le esperienze di altri Paesi. Un esempio su tutti è il ruolo delle academy aziendali nelle filiere e nei settori.

Gli Its sono una delle leve più interessanti a disposizione perché presuppongono un ruolo strategico delle imprese attraverso le Fondazioni e soprattutto attraverso la presenza nella gestione dell’iter formativo e dell’inserimento lavorativo. La questione di fondo resta la diffusione di questa strumentazione nella gestione del mercato del lavoro, oggi troppo marginale» conclude Brunetti.

Il ruolo della crisi demografica

«Il mercato del lavoro attuale è attraversato da profonde, storiche e attuali tensioni» afferma Andrea Arrighi, Vice President Human Resources & Organization Lagardère, che prosegue: «Se si deve, tuttavia, evidenziare un tema di assoluto rilievo e di governo, di strategia politica e di visione futura, sempre sottotraccia e mai adeguatamente posto in rilievo, questo è il tema della evoluzione demografica del nostro Paese.

La carenza di personale, qualificato e non, che sta emergendo sempre più evidente nell’industria così come nei servizi, è anche profondamente correlato all’andamento demografico e alla quantità di risorse disponibili nel mercato del lavoro. È del tutto evidente che, da oggi in poi, lo sbilanciamento tra persone attive e inattive rappresenterà un fattore in grado di mettere a rischio il nostro modello di welfare. È dunque compito primario della politica intervenire rapidamente e strutturalmente su tale questione, rafforzando gli interventi a favore della maternità/paternità, della stabilità degli impieghi, ma anche attraverso un nuovo modello decentrato di relazioni industriali fino alla riduzione strutturale del cuneo fiscale e a una gestione più concreta e meno populistica dei flussi migratori.

È infine necessaria una visione lungimirante che garantisca lo sviluppo del Paese considerando il governo della demografia quale aspetto precipuo per il benessere futuro».

Mismatch delle competenze e competitività

Chiarisce Adriano Caponetto, HR & Organization Director Rhenus Logistics: «Senza dubbio il l’evoluzione del mercato del lavoro e le sue ricadute sono, sempre più, una tema ricorrente su cui si torna a dibattere ogni anno , ovvero “Il mistmach di competenze”. Parliamo del disallineamento tra le competenze, le conoscenze richieste dalle aziende e la formazione proposta dal mondo dell’istruzione. Anche nel 2022, e la proiezione per il 2023 conferma questa tendenza, le aziende hanno il problema di trovare profili idonei alle proprie esigenze, in particolare figure con competenze innovative e tecnologiche. Al giorno d’oggi, le competenze digitali sono tra le skill che possono rendere più competitive le nostre aziende. Tuttavia, l’Italia resta ancora indietro rispetto agli altri Paesi europei. L’indice Desi (Digital Economy and Society Index) del 2021 collocava l’Italia al ventesimo posto in Europa per lo sviluppo delle competenze digitali. Ma siamo così certi che questa sia la reale difficoltà? Personalmente non credo, in quanto il vero mistmach nelle organizzazioni è quello di integrare quattro o più generazioni culturali: quando le aziende saranno pronte ad accogliere nuove culture o nuovi modi di pensare avremo, definitivamente, risolto il tema del mistmach di competenze e di tutti i divari culturali ancora arroccati a organizzazioni poco fluide e pronte alle vere sfide che dovremmo affrontare. Peraltro non dimentichiamo che “le organizzazioni sono organismi mutevoli nel tempo».

Dalle politiche attive alla produttività

Insiste sul tema delle competenze anche Marco Monga, Human Capital and Organization Director dell’Istituto Italiano di Tecnologia: «Lo sviluppo della cosiddetta employability e delle politiche attive del lavoro in Italia è come quei sogni che non si avverano mai, materia da ordine degli psicologi. A mio avviso ci sono tre problemi che dovremmo affrontare, nessuno dei quali ha purtroppo soluzioni semplici e rapide. Il primo è quello delle competenze, rispetto alle quali occorrerebbe riscrivere gran parte dei percorsi didattici superiori e universitari. Alcune cose si stanno muovendo nella direzione giusta (vedi gli ITS), ma la contestuale demonizzazione dei percorsi scuola-lavoro non aiuta. In parallelo, mancano investimenti sulla formazione continua post impiego, per rimanere attivi nei processi di trasformazione (non solo digitale) del mondo del lavoro».

«Il secondo tema – continua Monga – riguarda l’incontro tra domanda e offerta. Qui è evidente il fallimento del modello pubblico, non perché sbagliato in quanto tale, ma perché incapace di creare queste relazioni. Questa inefficacia ha molte cause, molte delle quali rischiano di sembrare luoghi comuni, ma certamente la formazione degli addetti delle agenzie per il lavoro, la digitalizzazione dei processi e i corretti sistemi di incentivi potrebbero migliorare la situazione. Infine, ultimo ma non ultimo, forse occorre dirsi che manca la materia prima, cioè il lavoro, mentre siamo pieni di lavoretti. Perché le aziende siano in grado di offrire posti di lavoro ben remunerati, che diano valore aggiunto alle filiere industriali e di servizi, occorrerebbe capire che il problema principale risiede in una parola deprecata e assai poco coltivata: produttività. La produttività italiana è piatta o addirittura decrescente da decenni, da ciò deriva la carenza di sviluppo di tutto il sistema Paese».

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