Officina Risorse Umane: innovare le HR e rispondere alle nuove sfide del mercato del lavoro

Francesco Rotondi, Name Partner di LabLaw, Direttore Scientifico di Officina Risorse Umane e Consigliere Esperto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), anticipa i temi al centro di quello che è un appuntamento annuale unico nel panorama HR in Italia: ORU – Officina Risorse Umane, promosso da Stati Generali Mondo del Lavoro e HR Link, coinvolge tutti gli stakeholder delle risorse umane per avviare un’interlocuzione concreta con i ministri del Lavoro e delle Politiche Economiche. Focus – tra gli altri – su innovazione, sostenibilità, welfare, politiche del lavoro e D&I Employability.

Avvocato Rotondi, alla sua terza edizione (che si terrà l’11 e 12 novembre a Napoli, ndr) Oru si conferma un appuntamento consolidato di dialogo tra rappresentanti delle direzioni delle risorse umane, specialisti del settore e istituzioni: quali sono i temi “caldi” e le priorità sul tavolo quest’anno, tenendo conto anche delle nuove normative?  

«Innanzitutto bisogna ragionare in termini più pragmatici e imprenditoriali: certe tematiche, infatti, hanno un valore più che altro mediatico – sono spinte dai media – ma la vera sfida per gli HR è dal punto di vista gestionale; oggi, infatti, le Risorse Umane devono affrontare una sfida soprattutto organizzativa: la priorità è quella di trovare nuovi modelli organizzativi, che favoriscano sia la produttività sia la soddisfazione delle persone. Ovvero, bisogna creare un modello che riesca a essere una sintesi di tutto e a beneficio di tutti».  

Come membro del CNEL, ci può dare una visione del contesto nazionale attuale nel quale Oru si colloca e quindi quali spunti un simile appuntamento di dialogo e confronto può offrire?  

«Siamo in un momento sociale particolare: oggi il lavoro ha un nuovo significato per l’individuo, ha un valore diverso e questo si riflette anche sull’azienda. In questo momento storico è in corso una diatriba su cosa rappresenti il lavoro per le persone; c’è un nuovo work-life balance, al quale non si vuole rinunciare. Il tema caldo e prioritario, come già ho accennato prima, è l’individuazione dell’organizzazione perfetta, che permetta al singolo di poter “immaginare” tutti i suoi risultati. Un’organizzazione non più fordista, non più taylorista: nuova, mai esistita nella storia. In quest’ottica ORU è un momento importante di sintesi e di dialogo».  

Quali sono secondo lei le criticità alle quali andrà incontro il settore delle Risorse Umane?   

«Ci sono a mio avviso due ordini di criticità: quelle oggettive, date dal momento storico delicato dal punto di vista economico-finanziario, e quelle soggettive, ovvero tutte italiane. Queste ultime hanno a che fare con l’individuo e hanno come criticità proprio l’individuo stesso, che è una variabile non controllabile. In quest’ottica bisogna trovare la capacità di diventare produttivi anche in situazioni diverse e nuove, di riuscire ad adattarsi in modo da garantire sempre la performance. L’individuo deve essere però disponibile a crescere e a reskillarsi. Questo comporta un cambio di passo anche nelle organizzazioni: bisogna superare la vecchia modalità imperniata sulla poca disponibilità al cambiamento e favorire l’accesso dei giovani al mondo del lavoro. Questo è un problema tutto italiano, così come un ulteriore elemento di criticità, ovvero il rapporto non strutturato tra scuola e azienda: in Italia, purtroppo, non c’è un percorso condiviso».  

Secondo lei, siamo di fronte a una situazione di transizione normale o ci sono elementi di eccezionalità e di urgenza per cui è necessaria una rinnovata attenzione da parte dei gestori del capitale umano e delle istituzioni?  

«È un momento eccezionale se non si è preparati al cambiamento e a mio avviso manca proprio la predisposizione. In realtà non è un cambiamento straordinario, se guardiamo agli ultimi 200 anni: la diversità è la velocità del cambiamento. E la sfida è la capacità di rispondere in maniera veloce al cambiamento: bisogna avere le competenze, essere preparati e skillati; ci vuole rapidità di adattamento e skill sempre maggiori – soprattutto soft skill –, approcci non tecnici ma di gestione».  

Possiamo infine individuare delle opportunità nello scenario attuale e degli elementi sui quali fare leva?  

«Tutti i cambiamenti rappresentano delle opportunità. In questo momento, con la tensione verso il progresso tecnologico, l’intelligenza artificiale i nuovi modus di lavorare, l’Italia ha due vie d’uscita, una distruttiva e una costruttiva, ovvero scrivere una nuova storia del lavoro e della sua organizzazione. Mi spiego meglio: bisogna riscrivere il mondo operativo con una chiave di lettura sociale data dalla normativa. Quindi bisogna fare un lavoro non teorico e astratto, ma pratico e per fare questo serve un sostegno normativo: per prima cosa, tuttavia, la norma deve accettare che certi principi vadano messi da parte, bisogna riscriverne altri accettarli. Bisogna soprattutto, però, accettare il cambiamento. Per esempio, una società che non ravvisa più nel lavoro uno degli elementi fondanti della vita dell’individuo – il lavoro non è più al centro – deve potersi smarcare dal lavoro a tempo indeterminato. Anche lo smart working, per esempio, deve avere regole proprie, non un adattamento di quelle “normali”. Serve un cambiamento di assetto normativo in diversi ambiti. Dobbiamo abbandonare una serie di certezze».

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