Onboarding, ecco come dare inizio ad un percorso verso di successo

Il percorso di ingresso all’interno di una nuova realtà è determinante sotto molteplici punti di vista, sia per i dipendenti che per le organizzazioni stesse. Le imprese con un programma di onboarding formale potrebbero vedere il 50% in più di fidelizzazione dei dipendenti tra i nuovi assunti e il 62% in più di produttività all’interno del team. Ecco come i manager possono strutturare il processo in 3 step per favorire lo sviluppo ottimale del percorso dei nuovi assunti.

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Manca la manodopera in tutto il mondo sia di lavoro cosiddetto “qualificato” che “non qualificato” e, in un mercato che cambia, “le aziende che trattengono i talenti chiave e investono nella propria forza lavoro saranno quelle che investiranno nell’inserimento dei dipendenti”, come scrivono Sinazo Sibisi e Gay Kappers su Harward Business Review.

L’onboarding dovrebbe sempre avere come risultato l’inserimento dei nuovi assunti e il farli sentire a proprio agio nei nuovi ruoli, ma questo obiettivo si raggiunge solo se i processi sono progettati strategicamente. I dati dicono che le imprese con un programma di onboarding formale potrebbero vedere il 50% in più di fidelizzazione dei dipendenti tra i nuovi assunti e il 62% in più di produttività all’interno del team. Ovviamente il lavoro a distanza ha complicato questi passaggi di inserimento nelle aziende: “In un sondaggio del 2020 di Workable – si legge nell’articolo – gli intervistati delle risorse umane hanno segnalato l’onboarding o la formazione a distanza come la più grande sfida per le assunzioni durante la pandemia e oltre”.

Prima dell’emergenza sanitaria si discuteva poco di quanto tempo durasse l’onboarding in media; si tratta di circa 90 giorni, ma è in 12 mesi che i nuovi dipendenti raggiungono il massimo delle loro prestazioni. Il ruolo del manager e il fatto che sia o meno inserito attivamente nel processo è essenziale: “Tuttavia, molti manager non hanno la capacità di supportare o implementare programmi di onboarding”. Inoltre, la maggior parte delle aziende più piccole (e anche alcune più grandi) non offrono programmi di tutoraggio.

Ecco, quindi, i suggerimenti che vengono dati ai manager per un onboarding efficace.

Innanzitutto, è importante stabilire obiettivi e misure chiare per il successo. Occorre esaminare attentamente gli scopi dell’inserimento e assicurarsi che comprendano quattro punti: “Conformità, chiarimento, cultura e connessione”. Inoltre, è importante chiedersi sempre se si è stati chiari nello spiegare i regolamenti, le politiche e le procedure a cui i dipendenti devono attenersi, nel delineare prospettive. Poi si dovrà decidere come “misurare il successo” e per farlo sarebbe opportuno riflettere su alcuni punti, come ad esempio, “la percentuale di nuovi assunti ancora impiegati nell’azienda dopo un anno” ma anche “il feedback dei nuovi assunti sulla loro esperienza di inserimento”.

L’onboarding deve essere, poi, multi-dipartimentale, deve andare oltre il dipartimento delle risorse umane e arrivare fino al CEO: “Prima i manager possono introdurre nuovi assunti nella loro squadra, meglio è”, ma sempre assicurandosi che “il team sappia perché il nuovo dipendente è stato assunto e quali ruoli ricoprirà”. Creare collegamenti con il resto del team, ma anche col CEO.

Un’introduzione spesso trascurata (ma fondamentale) è proprio quest’ultima, che contribuirà a dare alle new entry “un senso di inclusione nell’azienda e consoliderà l’idea che la crescita che rappresentano per l’impresa è importante”.

Infine, è essenziale “fornire supporto lungo tutto il viaggio di inserimento”: “Durante l’onboarding, i manager dovrebbero concentrarsi sulla riduzione del tempo dedicato ai compiti amministrativi dei nuovi assunti e sull’aumento del tempo dedicato al coaching delle prestazioni e alla creazione di connessioni”, seguendo poi queste persone fino al completamento della fase di ingresso in azienda.

 

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