Per fare carriera occorre fortuna, tutto il resto è credenza. Ecco chi ha vinto l’igNobel 2023 con una riflessione di Paolo Iacci

Un modello matematico dimostra che le aziende che vanno meglio sono quelle che promuovono i propri dirigenti a caso. La ricerca è di un team di ricercatori siciliani ed è stata premiata ai IgNobel, facendo prima sorridere e poi riflettere. Se trovarsi al posto giusto nel momento giusto conta, quanto contano le capacità, la determinazione e la voglia di fare? Abbiamo chiesto il parere di Paolo Iacci che sulla fortuna nel lavoro, in azienda e nella vita ha scritto anche un libro e fatto una brillante analisi psicologica, economica e sociale.

fortuna

Per fare carriera serve solo fortuna. 

Promuovere dirigenti “a caso” sembra una scelta vincente. 

A dimostrarlo un modello matematico frutto di una ricerca realizzata da un team di ricercatori siciliani – Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda e Cesare Garofalo dell’Università di Catania – premiata agli IgNobel, che ha fatto prima sorridere e poi riflettere. 

Che sia il caso, ancora prima delle capacità, a determinare la scelta giusta appare insolito, ma Paolo Iacci, presidente di Eca Italia, docente all’Università degli Studi di in Gestione delle risorse umane e presidente Aidp Promotion, prova a dare una spiegazione di questo risultato iniziando da una storia antica:

«Narra Huai Nan Zi di un vecchio contadino al quale una mattina fuggì il cavallo che adoperava nel lavoro dei campi – Alla notizia i vicini di casa si recarono subito dal contadino per manifestargli la loro vicinanza in questo momento di grande sfortuna per lui. “Sfortuna, fortuna, e chi può dirlo?!”, si limitò a dir loro il vecchio contadino. Il giorno seguente, infatti, il cavallo fuggito fece ritorno alla stalla; aveva trascorso la notte sulla montagna e, tornando a valle, era stato seguito da una mandria di cavalli selvatici”. La storia prosegue: quando i vicini vennero a saperlo, subito corsero dal vecchio per congratularsi con lui della straordinaria fortuna che gli era capitata! “Fortuna, sfortuna, e chi può dirlo?!”, sentenziò nuovamente il contadino. Fu così che quello stesso giorno il figlio del contadino decise di cavalcare il più forte dei cavalli selvaggi, per ammaestrarlo e utilizzarlo nel lavoro nei campi. Ma mentre tentava di domarlo, il cavallo selvaggio lo disarcionò, facendo cadere violentemente a terra il figlio del contadino che si ruppe una gamba. Ancora una volta la gente del villaggio non esitò nel correre a casa del contadino per piangere insieme a lui l’evidente disgrazia che su di lui si era abbattuta. Ma ancora una volta il vecchio non si scompose più di tanto e si limitò a sentenziare: “Sfortuna, fortuna, e chi può dirlo?!”. Avvenne infatti che in Cina scoppiò una terribile guerra e che i capi dell’esercito, che viaggiavano di villaggio in villaggio per reclutare soldati, vedendo il figlio del contadino con una gamba rotta non si fermarono e passarono oltre. »

Fortuna e sfortuna sono solo modelli mentali

«Fortuna o sfortuna in realtà sono forse solo dei nostri modelli mentali radicati e talvolta errati –  scandisce Iacci – Ciò che conta è il cambiamento e il nostro approccio. Il più grande spreco nel mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare. C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà sono una sorte di gabbia in cui decidiamo di vivere, quasi senza accorgercene». 

Il modello matematico

I tre studiosi vincitori dell’IgNobel hanno dimostrato per la prima volta con un modello matematico il principio di Peter, enunciato negli anni ’60, che afferma che in una organizzazione gerarchica spesso chi arriva al vertice raggiunge un minimo nella sua competenza. «Abbiamo anche studiato possibili strategie per evitare gli effetti negativi del fenomeno – hanno spiegato i tre da Boston, dove si è tenuta la cerimonia di consegna del premio organizzato dalla rivista Annals of Improbable Research e sponsorizzato dall’Università di Harvard – Per quanto possa sembrare paradossale, una strategia che promuova ai ranghi superiori in maniera casuale sembra dare dei buoni risultati ed aumenta l’efficienza dell’organizzazione», fanno sapere gli scienziati. 

Se è vero che la fortuna aiuta gli audaci…

Per molte persone non esiste nulla di più devastante di un futuro certo, aggiunge Iacci: «La gioia di vivere deriva invece dall’incontro con nuove esperienze: talvolta non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in qualcosa di nuovo. La fortuna ci sorprenderà. Ci verrà a trovare. Perché noi l’abbiamo sollecitata».

Insomma, se si continua a fare ciò che si è sempre fatto, si continuerà anche ad ottenere ciò che si è sempre avuto, e non si può sperare in alcun colpo di fortuna. «Il ripetersi delle stesse cose, delle nostre abitudini, ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana allontana ogni casualità positiva – riflette ancora il presidente di Eca –  La fortuna per manifestarsi ha bisogno di cambiamento, di un approccio alla vita volitiva e attivo». 

La forza del cambiamento, a sua volta, mette in atto un’energia positiva che accompagna le persone nel segno della dea bendata, perché sono le persone stesse ad alimentare un ambiente favorevole. Talvolta, infatti, si dice che sembra che ogni cosa vada nel verso giusto. Che tutto ciò a cui ci stiamo applicando funzioni. Fortuna o determinazione? Casualità o causalità ambientale? Fortuna o merito? «In quel caso anche eventi apparentemente negativi possono rivelarsi poi un’opportunità. Queste vanno poi però colte nel momento che si presentano a noi – aggiunge Iacci – Di fronte alle mille difficoltà che la vita ci riserva, ad esempio, se passiamo il nostro tempo a compiangerci e non reagiamo, sicuramente non riusciremo a cogliere il buono che c’è attorno a noi, non porremo le precondizioni perché la fortuna si sveli a noi». 

In fondo, la vita presenta sempre due scelte: «Accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle. Nel momento in cui decidiamo di prendere in mano le redini della nostra vita, allora stiamo invocando la fortuna e questa nel giro di breve probabilmente ci verrà a trovare. O per lo meno le casualità della vita avranno per noi una valenza positiva, noi saremo pronti a vedere il segno più davanti alle cose appena possibile», suggerisce Iacci. 

Al contrario, se si lascia prevalere un atteggiamento passivo o rinunciatario, ogni casualità si dovrebbe presentare avrà sempre il segno meno davanti. Ogni cosa apparirà come negativa o con un potenziale di difficoltà sempre più arduo. 

Il significato di ogni evento dipende da che ottica lo guardiamo

Il concetto, per Iacci, infine, è che il significato di ogni evento dipende da come lo osserviamo, dal personale punto di vista. Quello che è positivo per qualcuno, potrebbe essere negativo per altri, o da un altro punto di vista, o in una diversa circostanza. Inoltre, è arbitrario definire a priori il significato di un evento, perché lo svilupparsi della situazione potrebbe cambiare il valore o il significato dell’evento stesso, proprio come accade nella storiella iniziale. 

«In altre parole, possiamo dire che ogni evento è – in sé e per sé – “neutro”: il suo valore o significato dipenderà quindi dall’osservatore e dal suo atteggiamento – conclude Iacci – Ovviamente, non è facile uscire da una istintiva visione “personale” (e quindi soggettiva) della realtà; se però osserviamo quanto le persone possano essere variegate, avere opinioni e gusti diversi, accanirsi fino allo sfinimento sostenendo posizioni opposte. E quanto, nell’arco dei tempi e delle varie culture, gusti e valori siano cambiati, risulta evidente come non ci sia, in effetti, mai nulla di assoluto». 

Il primo passo verso la fortuna: accettare la relatività delle opinioni

Ogni opinione è, fondamentalmente, dipendente dal punto di vista. Adottandone uno diverso, vedremo le cose in modo diverso; proprio come la storia raccontata sopra ci dimostra. Al tempo stesso, c’è nella natura umana il bisogno di certezze e punti fermi: la loro assenza ci inquieta; una realtà “fluida” e indeterminata può spaventare. «Anche per questo si tende ad attaccarsi alle proprie opinioni – incalza Iacci – Credere che siano assolute ci rassicura; ci dà un punto di riferimento.

Per operare efficacemente nel mondo, però, è indispensabile saper uscire dal proprio personale punto di vista, e considerare quello altrui: altrimenti, entreremo sempre in conflitto con le altre persone o con le situazioni su cui non abbiamo controllo. Invece, accettare la relatività delle opinioni ci permette di relazionarci armoniosamente con gli altri, e fluire in ogni situazione senza esserne frustrati». 

Ecco, dunque, che mantenere un atteggiamento rigido verso la realtà, produce inevitabilmente una vita problematica e sofferta: si rischia di trovarsi perennemente in conflitto col resto del mondo. 

«Quando ci accorgiamo di rifiutare ogni opinione alternativa, o difendiamo a spada tratta le nostre posizioni senza cercare di comprendere le ragioni dell’altro, in molti di questi casi siamo preda delle nostre ideologie e delle nostre paure o difficoltà nel mettere in discussione ciò che noi siamo – riflette il presidente di Aidp. Questo atteggiamento si oppone ad una vita in armonia con ciò che ci circonda, gli amici, i colleghi, ogni situazione che la vita ci propone. In molti casi siamo noi che ci costruiamo la vita, non la nostra fortuna. Riuscire ad accettare il cambiamento come parte costitutiva della realtà è il primo passo verso la fortuna». Lao Tzu diceva che “Quella che il bruco chiama la fine del mondo, il maestro la chiama una farfalla”. 

Nonostante il premio sia un po’ una presa in giro bonaria della scienza, come testimonia lo storico slogan “la scienza che fa prima ridere e poi pensare”, i ricercatori non sono affatto offesi: «Un Ig-nobel può a prima vista suscitare ironia, ma è un premio abbastanza ambito ed è seguito da un pubblico molto vasto – confermano – Speriamo che possa dare ancora più visibilità alle nostre ricerche in modo da raggiungere un pubblico ancora più ampio, anche al di fuori dell’ambito strettamente scientifico». 

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