Perché le donne non si mettono in luce sul lavoro

Troppo spesso le lavoratrici preferiscono stare dietro le quinte, pur riconoscendo che la visibilità aiuta a fare carriera. Uno studio della Stanford University spiega il perché

donne al lavoro

Sanno bene quanto conti per la loro carriera mettersi in luce durante le riunioni, farsi avanti per ottenere incarichi, mostrare ai superiori il buon lavoro fatto. Eppure le donne preferiscono spesso stare un passo indietro, evitare conflitti e moderare le proprie posizioni.

Un atteggiamento diffuso, che in parte contribuisce a far sì che i ruoli di maggior rilievo all’interno delle organizzazioni siano ricoperti prevalentemente da uomini. Ma che è spesso anche una forma di autodifesa.

Lo studio

A certificare quello che già molte lavoratrici avvertono, più o meno consciamente, è uno studio condotto da un team di ricercatori della Stanford University, in collaborazione con il Clayman Institute for Gender Research, che ha osservato 86 professioniste – in maggioranza laureate, madri e con solidi percorsi di carriera alle spalle – impegnate in un percorso di aggiornamento professionale.

Tutte le partecipanti, premettono i ricercatori, si sono dimostrate perfettamente consapevoli dei vantaggi che avrebbe portato loro una maggiore visibilità. Sapevano che farsi notare – ad esempio intervenendo nel corso delle riunioni – è una strategia efficace, ma nonostante ciò molte di loro hanno evitato consapevolmente di mettere in atto quella tattica, preferendo una “invisibilità intenzionale”. La ragione, il più delle volte, era la paura di innescare conflitti sul luogo di lavoro, lo stesso fattore che le ha spinte a essere più assertive e gentili, ed evitare di attirare l’attenzione sulla loro persona. Peccato che alla fine tutte finissero per sentirsi benvolute, sì, ma sottovalutate.

La paura dei contraccolpi

Gli studiosi hanno identificato tre motivazioni principali alla base del comportamento femminile.

La più immediata è la paura di far nascere conflitti, che potrebbero poi generare spiacevoli conseguenze. Paradossalmente, pur riconoscendo che la minor visibilità abbassa le probabilità di ottenere una promozione, le lavoratrici osservate si sono dette preoccupate che la violazione di norme di comportamento “non dette” potesse penalizzarle ancora di più. Consapevoli del pregiudizio di genere che impera nei luoghi di lavoro, le interessate hanno preferito adattarsi agli stereotipi. Una delle intervistate ha per esempio raccontato che, al termine di una riunione in cui aveva esposto con franchezza la propria opinione, il collega di sesso maschile aveva concluso con un “Dio, sono contento di non essere sposato con te!”. Un’altra si è detta convinta che “le donne forti sul posto di lavoro sono ancora percepite come arpie”, e ha confessato di avere cercato per anni di moderare la sua forte personalità.

Il giudizio interiore

Non solo i pregiudizi, ma anche la componente interiore condiziona i comportamenti delle donne lavoratrici. Per molte intervistate, per esempio, l’esigenza di “sentirsi autentiche sul lavoro” ha prevalso su quella di ottenere visibilità. Essere sotto i riflettori significava per loro non sentirsi se stesse, tanto che alcune delle donne osservate hanno rifiutato in diverse occasioni di assumere la leadership, perché convinte che ciò le avrebbe obbligate ad abbracciare regole di comportamento “maschili”. Hanno quindi preferito rimanere dietro le quinte e dare il proprio contributo all’interno di un team, lavoro che sentivano più in sintonia con la loro inclinazione.

Il “nodo” famiglia

C’è infine la questione familiare. Diversamente dalle altre colleghe le madri lavoratrici hanno confessato che restare nell’ombra ha dato loro più tempo ed energie per adempiere agli obblighi a casa. E – altro aspetto da non sottovalutare – questo le ha aiutate a mantenere un buon equilibrio nel rapporto con il partner. Se molte si sono dette convinte che la carriera avrebbe creato problemi in famiglia, altre hanno raccontato che proprio nel momento in cui cercavano di fare l’agognato “salto”, il partner le ha colpevolizzate per non essere presenti come in passato.

Tre passi per voltare pagina

È possibile invertire la tendenza? Secondo gli autori dello studio la risposta è positiva, a patto che il cambiamento parta dalle aziende, che “devono valorizzare le forme di leadership non convenzionali, combattere i pregiudizi impliciti e bilanciare le responsabilità delle donne”.

“Dando valore agli attributi di leadership più femminili – come la propensione a prendere decisioni partecipative – si possono elevare le donne senza spingerle ad adattare i loro comportamenti alle norme maschili”, si legge nella ricerca, riportata dalla Harvard Business Review. Non solo. Le aziende “potrebbero contrastare i pregiudizi impliciti che finiscono per penalizzare le donne assertive”. Infine, su un piano ancora più concreto, le imprese “devono riconoscere che le donne svolgono un secondo lavoro non retribuito a casa. Le politiche sul posto di lavoro che attenuano le esigenze della famiglia, come i programmi di assistenza all’infanzia, possono aiutarle ad assumere ruoli più impegnativi in azienda. E possono inoltre spingere a modificare l’opinione secondo cui sia delle donne il compito di assumersi la gran parte della responsabilità familiare”.

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