Pmi e welfare, quanto cresce e quali sono i settori più coinvolti

A maggio uscirà il Welfare Index Pmi 2020, che racconta come si è evoluto il mondo delle imprese in Italia dal 2016 a oggi

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Quanto sono impegnate le piccole e medie imprese italiane nelle politiche di welfare è ciò che il Welfare Index Pmi cerca di evidenziare, restituendo da cinque anni una fotografia del livello di dinamicità delle aziende. A promuovere l’iniziativa, ancora una volta, Generali Italia con il sostegno di Confindustria, Confartigianato, Confagricoltura, Confprofessioni e Confcommercio. A maggio verranno presentati i risultati della ricerca che, lo scorso anno, ha coinvolto 4.500 aziende, appartenenti a tutti i settori, suddivise in microimprese (fino a 10 addetti), piccole (da 10 a 50), medie (da 51 a 250) e medio-grandi (da 251 a mille). Il trend si è rivelato positivo, visto che la percentuale di imprese che hanno attivato politiche di welfare è passata dal 7,2% del 2019 al 19,6% del 2019, ovvero circa 130 mila imprese.

Il dato è importante ma, come sottolinea Marco Seana, country manager e Ceo Generali Italia e Global business lines, “ci sono ancora ampi margini di miglioramento”, visto che ancora il 54% delle Pmi non è del tutto consapevole dei benefici del welfare aziendale. Che invece sono rilevanti e dovrebbero diventare “buone pratiche”. In attesa dei risultati della nuova edizione, ripercorriamo quanto emerso dall’ultima rilevazione.

Quali benefici e per chi

I benefici vengono registrati da tutti i soggetti coinvolti: l’impresa può detassare i premi erogati, ottenendo al contempo una maggiore soddisfazione dei propri dipendenti e quindi un incremento della produttività e della fedeltà all’azienda; i lavoratori ottengono un miglioramento della qualità della vita; lo Stato riduce la spesa per il welfare, incentivando le aziende a farsene carico. Ma – secondo i promotori del Welfare Index Pmi – il vero valore aggiunto sta nel salto culturale delle Pmi che intraprendono questo percorso, contribuendo a diffondere capillarmente sul territorio il welfare d’impresa.

Quali aree per il welfare aziendale

Oggi, quasi il 20% delle imprese di tutti i settori ha sviluppato politiche di welfare, articolate in numerose aree, rappresentando “l’avanguardia del movimento” e fungendo da esempio. Dodici le aree indentificate: previdenza, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita e lavoro/sostegno ai genitori, sostegno economico ai dipendenti, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale, sicurezza e prevenzione degli incidenti, welfare allargato alla comunità.

La percezione del valore

Interessante notare come, tra le aziende intervistate, sia aumentato in due anni il gradimento dei lavoratori rispetto al welfare aziendale, passando dal 23% al 33,4%. “Il welfare aziendale, per la maggior parte dei lavoratori, è un’esperienza recente, in molti casi limitata alla possibilità di utilizzare piccole somme: non dovremmo stupirci del fatto che non si sia ancora consolidato un ampio riconoscimento della sua utilità – si legge nel rapporto – Ma, soprattutto, non dovremmo stupirci della difficoltà a percepire il valore dei servizi sotto un profilo meramente economico. Questo è il motivo per cui il gradimento dei lavoratori dipende molto dalla capacità dell’azienda di valorizzare le proprie iniziative”.

Quali aree crescono

La conciliazione vita e lavoro e la formazione dei dipendenti sono le aree più in crescita. Si stanno poi sviluppando anche le cosiddette aree “non mature”, come i servizi di assistenza (attività di prevenzione, sportelli medici, assistenza agli anziani), il sostegno ai soggetti deboli e l’integrazione sociale. “L’industria e il terzo settore hanno in molte aree tassi di iniziativa superiori alla media, con una particolare propensione del terzo settore nel sostegno ai soggetti deboli e all’integrazione sociale, nella conciliazione vita/lavoro, nella formazione”, si legge ancora nel rapporto. Ciò nonostante, le aziende che ritengono di avere una coscienza precisa sui temi di welfare aziendale sono solo il 26,7%.

Di certo, tuttavia, la trasformazione dei premi di produttività in welfare è molto aumentata dal 2017 al 2019, passando dal 4,1% al 15,9%. Il settore sanitario è molto battuto: attualmente il 38,6% delle Pmi si è mosso in questa direzione e il 3,9% delle imprese si è dotato di uno sportello medico interno. Anche il work-life balance è un ambito molto praticato: nello specifico, il 36% delle Pmi si è concentrato sulla flessibilità organizzativa. Ma, “solo un gruppo molto ristretto di imprese mette a disposizione servizi per la famiglia: ne sono esempio gli asili nido aziendali di proprietà (0,6%) oppure convenzionati (0,6%), le scuole materne, i centri gioco o i doposcuola (0,3%), i supporti al reperimento di babysitter (0,5%)”. È evidente che l’impatto di tali servizi sarebbe importante per sanare lo squilibrio occupazionale ancora presente tra uomini e donne, soprattutto sul fronte della genitorialità, visto che in Italia l’occupazione femminile decresce con l’arrivo dei figli molto più rispetto alla media europea.

Riguardo ai giovani, “la percentuale di Pmi che hanno attivato iniziative nell’ambito della formazione e del sostegno alla mobilità delle giovani generazioni è in netta crescita: dal 33% del 2017, al 38% del 2018, all’attuale 43,9%”. La formazione è un settore che viene ritenuto sempre più strategico, anche in considerazione della veloce mutazione dei ruoli e delle professioni. Così come quello dell’istruzione dei figli dei dipendenti, per compensare il forte ritardo – sul lungo periodo – con cui i ragazzi italiani entrano nel mondo del lavoro rispetto alla media dei coetanei europei.

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