Covid 19, la responsabilità delle imprese oltre la filantropia

Nella fase di emergenza è stato evidente l’impegno delle organizzazioni. Italia Non Profit ha mappato oltre 900 iniziative per un valore superiore ai 715 milioni di euro. Ma l’attività solidale è sempre meno sporadica e sempre più parte dei percorsi di corporate social responsibility, apprezzate e richieste dai consumatori.

RESPONSABILITA

Nell’emergenza Covid è emerso con forza il lato umanitario e solidale della società e delle imprese, che hanno messo in campo sia azioni filantropiche sia vere e proprie azioni di responsabilità sociale nei confronti delle comunità e territori di riferimento o dei dipendenti.

Il portale Italia Non Profit, ad oggi, ha mappato 907 azioni di filantropia per un controvalore di 715,8 milioni di euro. Nella sezione dedicata è possibile vedere tutte le iniziative, la provenienza e la destinazione dei fondi, dei servizi o dei beni destinati alla lotta al coronavirus. L’iniziativa di Italia Non Profit  è stata promossa insieme ai principali attori della filantropia istituzionale italiana e altri attori del Terzo Settore fra cui Assifero, Csr Manager Network, Aoi, Banca Etica, Fondazioni di Comunità e altri ancora. Obiettivo di questa iniziativa è permettere ai beneficiari (o potenziali beneficiari) di entrare in contatto con i diversi aiuti (e agevolazioni) messi in campo a loro favore e sollecitare nuove azioni.

Anche il Sole 24 Ore ha monitorato le principali iniziative messe in campo da imprese, banche e assicurazioni per contribuire alla lotta contro il coronavirus.

I numeri

I maggiori destinatari  delle iniziative sono gli ospedali (522 progetti per loro). I maggiori filantropi sono le imprese private che, in maggioranza, hanno attivato iniziative di donazione di fondi (433 donazioni mappate sul portale). Dopo le imprese, iniziative di filantropia sono state attivate da fondazioni, da enti no profit e privati cittadini. Nelle scorse settimane si è assistito a grandi donazioni, ad esempio i 20 milioni di Unipol, o alla messa a disposizione di attrezzature e know how per la realizzazione di mascherine e respiratori (Lamborghini o Ima, tra gli altri). Una vera e propria corsa alla solidarietà, che ha registrato un salto di qualità: non solo donazioni, ma politiche di quello che viene chiamato “secondo welfare”.

Responsabilità sociale

Molte imprese (tra queste Enel, Coopservice, Arcese, Terna) hanno attivato assicurazioni Covid per i dipendenti. Luxottica e Campari, tra i tanti che hanno fatto la stessa scelta, hanno garantito lo stipendio al 100% ai propri dipendenti, integrando la perdita dovuta alla cassa integrazione. Rana, Mutti, Lactalis e altri hanno aumentato lo stipendio fino al 25% per sostenere le famiglie dei propri dipendenti. Il pastificio che fa capo a Giovanni Rana, inoltre, ha stanziato un bonus baby sitter di 400 euro. Scelte analoghe sono state fatte da molte delle imprese che non hanno interrotto le proprie attività, perché operanti in settori essenziali: dai bonus in denaro (750 euro per gli addetti di alcuni comparti della Ferrero) ai voucher per la famiglia. Per non parlare della possibilità di godere di ferie e permessi extra per assistere figli piccoli, familiari con disabilità o non autosufficienti.

Istituzione sociale

Nel momento dell’emergenza, l’impegno sociale delle imprese è stato tangibile ed evidente, ma la scelta della responsabilità (e della sostenibilità intesa in senso lato) viene da lontano. Sono sempre di più le realtà che scelgono di integrare la corporate social responsibility nel proprio processo di business, andando oltre il gesto benefico isolato. E sono le imprese che piacciono di più ai consumatori. Secondo una ricerca Ipsos svolta a marzo, il 65% degli italiani chiede che le imprese abbiano un ruolo attivo all’interno della comunità. Solo un anno fa la stessa richiesta era avanzata dal 59% dei cittadini.  E come le aziende si attrezzano a rispondere a questa aspettativa influenza fortemente le scelte dei consumatori: secondo la stessa ricerca il 46% degli italiani ammette che non comprerebbe un prodotto di un’azienda che ha pubblicamente preso una posizione che non condivide su un tema sociale, culturale o politico.

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