Questioni di geografia: lavoro e ritorno dei talenti al Sud

Una delle espressioni più inflazionate degli ultimi anni è senz’altro “south working”. Una modalità lavorativa che pare confermare uno stereotipo di vecchissima data: i talenti del Sud approfittano dello smart working per lavorare da remoto nella propria città di origine, per un datore di lavoro il cui headquarter – però – resta saldamente al Nord. Ma è sempre così? La tendenza “migratoria” dei talenti avviene necessariamente dalle regioni meridionali a quelle settentrionali o il Sud Italia sta progressivamente accogliendo il ritorno del proprio capitale umano? Esistono anche percorsi in direzione inversa? E soprattutto, sotto il profilo HR, quali sono le sfide imposte dalla collocazione geografica dell’azienda in un Paese come l’Italia, tradizionalmente segnato da una grande spaccatura tra Nord e Sud? Ne abbiamo parlato con Anna Illiano, Chief Transformation and People Officer (Executive Group Director) di MA Group.

anna illiano

Lo smart working ha favorito non solo il ritorno “a casa” di molti lavoratori ma anche il trasferimento verso Sud di altri, un fenomeno diventato noto come “south working”: quali sono gli elementi vincenti del Sud?

«Si dice che “lavorare al Sud con un lavoro sicuro e ben pagato è come vincere un biglietto con destinazione Paradiso”. Sicuramente lavorare nella propria regione vicino ai proprio amici e parenti favorisce il senso di sicurezza, d’identità e di appartenenza alla propria comunità, ma non è solo questo: il trasferimento al Sud per lavoro, cambiare casa e regione, potrebbe significare un abbattimento dei costi. Maggiore possibilità di scelta per l’abitazione, una natura ancora quasi incontaminata, il clima: tralasciando i mesi più freddi di gennaio e febbraio delle località montane, al Sud si può godere di un clima mite da marzo a novembre».

Anche diverse aziende, però, hanno scelto di delocalizzare e aprire uffici al Sud: quali sono i vantaggi per loro?

«Per alcuni mercati, un territorio come il Sud può essere interessante soprattutto per le ultime vicende politiche ed economiche per cui si sta cercando di rilanciare le regioni del Sud. Infatti, l’Europa ha suggerito all’Italia di spendere i finanziamenti del Recovery fund nel Sud fino al 70% dei fondi. Di questi una buona parte potrebbe essere investita in istruzione e ricerca e tra i risultati attesi ci sono soprattutto nuovi strumenti per rilanciare le imprese. La ricerca crea innovazione e l’istruzione offre le competenze, due elementi fondamentali per supportare qualsiasi nuova impresa e mantenere competitive quelle esistenti.

Dal punto di vista dell’innovazione, infatti, un territorio in crescita è una grande occasione per lanciare nuove idee. A questo proposito, per accompagnare le idee più promettenti, la ricetta del co-finanziamento tra pubblico e privato è senza dubbio un buon modello. Se nel lungo periodo una strategia di successo attirerà sempre più interessi da parte di investitori, questo potrebbe nascere proprio da una ricerca di base libera, poiché è quella che più di qualsiasi altro modello si presta alla creazione di nuovi mercati».

Secondo lei c’è un’inversione di tendenza reale del “flusso migratorio” lavorativo o è solo una bolla causata dalla pandemia e destinata a esaurirsi a breve?

«Sono diversi i fattori da prendere in considerazione. Prima di tutto bisogna riflettere sulle politiche di smart working nelle aziende. Con la pandemia niente è più come prima e alcune attività lavorative difficilmente si svolgeranno solo in presenza da qui in avanti. Molte persone non avranno più necessità di lavorare fuori casa, ma altre, nuove generazioni, hanno il desiderio di vivere e mettersi alla prova in ambienti più dinamici, in contesti più internazionali, anche se lontani dalla propria famiglia e dagli amici. I flussi migratori non sono più stabili e soprattutto nel mondo del lavoro difficilmente si lavora nella stessa azienda per tanti anni. Questo significa che il flusso migratorio al Sud potrebbe continuare, ma si potrebbe avere un forte turnover in cui le aziende del territorio avranno un ruolo chiave con le loro offerte lavorative. Maggiori saranno le offerte di lavoro e maggiore sarà il flusso migratorio verso le regioni del Sud».

Quali sono i punti di forza sui quali fanno leva le aziende per attirare talenti al Sud?

«Le aziende tutte e anche quelle del Sud stanno perseguendo una trasformazione e innovazione dei propri processi interni. Coinvolgere il più possibile i talenti e renderli protagonisti di questa trasformazione è un fattore che può creare attrazione. Bisogna avere il coraggio di portare avanti progetti di change management e introdurre architetture e metodologie innovative. Offrire progetti sfidanti e costruire insieme una nuova identità aziendale che possa essere sempre più innovativa, tecnologica e internazionale».

Quali, invece, i punti deboli che potrebbero provocare un rifiuto al trasferimento da parte del lavoratore?

«Prima di tutto i pregiudizi: bisognerebbe lavorare molto sulla promozione dei territori. Certamente bisogna lavorare ancora molto sulle infrastrutture di connessione, ma molte regioni stanno facendo un ottimo lavoro. Oggi per lavorare non si può fare a meno di una buona connessione Internet o di un efficiente collegamento a un aeroporto o a una stazione ad alta velocità oppure la presenza di almeno un “presidio di comunità” – ovvero uno spazio, pubblico o privato, da cui lavorare rispettando le esigenze di socialità e in cui incontrarsi e incontrare anche le comunità locali – quindi spazi di coworking, biblioteche, community hub, spazi pubblici di condivisione e socialità, che possano essere intesi come dei veri e propri luoghi di partecipazione dal basso, collaborazione, innovazione e dialogo intergenerazionale per le comunità locali, per i nuovi arrivati, i “ritornanti” e chi era già presente sul territorio. Queste sono richieste mosse soprattutto agli enti locali del Mezzogiorno».

Nell’ambito specifico del ruolo Hr: cosa bisogna sapere per poter lavorare al Sud?

«Occorre continuare a puntare sull’innovazione e sulla cultura d’impresa per far crescere le imprese del Sud e il loro livello di managerialità».

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