Retribuzioni in Italia: i lavoratori sono poco soddisfatti

Nella scelta di cambiare il lavoro, a parte lo stipendio fisso, la possibilità di formarsi e il work life balance pesano di più dei bonus. È quanto emerge dal Salary Satisfaction Report 2018, indagine dell’Osservatorio Jobpricing

retribuzione in italia

I lavoratori italiani sono poco soddisfatti della propria busta paga e ritengono che nelle loro aziende ci sia poca meritocrazia. Quando però si tratta di cambiare lavoro, a parte lo stipendio fisso, a contare di più sono la possibilità di formarsi e l’equilibrio tra vita privata e vita professionale. Questo, in sintesi, ciò che emerge dal Salary Satisfaction Report 2018, l’indagine dell’Osservatorio Jobpricing costruita attraverso un questionario rivolto ai lavoratori dipendenti attraverso il sito Repubblica.it.

Giunta al terzo anno, la rilevazione permette di monitorare come è cambiato il giudizio degli italiani sulla propria retribuzione dal 2015 al 2017. Si nota così come la soddisfazione complessiva per il proprio pacchetto retributivo, nonostante la ripresa economica, sia diminuita di 0,2 punti: nell’ultimo anno il giudizio sugli stipendi si è attestato, infatti, a un voto di 3,7 in una scala da 1 a 10, dunque ampiamente insufficiente. Il giudizio sulla retribuzione però aumenta sensibilmente laddove il pacchetto è vario e articolato: in presenza di incentivi a lungo termine, benefit e servizi di welfare, ad esempio, il voto diventa sufficiente e si attesta a 6,3 punti.

Inoltre la soddisfazione cresce con l’inquadramento (dal 5,5 dei dirigenti, si scende al 3,1 di impiegati e operai) ed è più alta al Nord Italia e nelle grandi società piuttosto che nelle piccole imprese. Sempre considerando il trend degli ultimi due anni, in miglioramento risultano solamente la voce sulla competitività esterna (+0,2 punti il giudizio rispetto all’offerta salariale delle aziende competitor) e quella sull’equità interna (+0,1 punti), che si riferisce alla sensazione di esser retribuiti equamente rispetto alle altre persone che nella stessa azienda svolgono le medesime funzioni. Quest’ultima è anche la voce che registra l’indice più positivo, pari a 5.

La meritocrazia appare, all’opposto, il punto dolente nelle aziende italiane: praticamente due lavoratori su cinque pensano che manchi del tutto nelle loro strutture produttive. I meno soddisfatti in questo senso sono gli operai e gli impiegati, ma anche le figure con maggiore responsabilità faticano ad esprimere un giudizio fortemente positivo.

Infine l’indagine permette di capire per quale ragione i lavoratori cambierebbero il loro posto di lavoro o viceversa resterebbero dove sono. Il principale fattore nella scelta di cambiare resta la retribuzione fissa (67% delle indicazioni), ma a seguire ci sono considerazioni svincolate dall’aspetto strettamente monetario (almeno nel breve periodo): la formazione, la possibilità di fare carriera e il work life balance pesano di più dei benefit e dei premi. Anche nel momento in cui si devono indicare le ragioni per le quali non si cambierebbe il proprio lavoro, ma si manterrebbe quello attuale, al primo posto non ci sono i soldi. Stando alle risposte degli intervistati, le relazioni interpersonali positive con capi, colleghi e collaboratori sono la principale leva per la quale una persona non dovrebbe cambiare posto di lavoro.

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