Sblocco dei licenziamenti, il punto della situazione a un mese di distanza

Il settore automotive quello più colpito; preoccupazione anche per l’impatto sulla produzione ad emissioni zero.

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Sono 330 mila i licenziamenti ipotizzati dall’Inps con lo sblocco del divieto che li ha impediti dall’inizio della pandemia. Fim, Fiom e Uilm riferiscono di procedure di licenziamento per 1.500 lavoratori, soprattutto nel settore dell’automotive, dove si decide di chiudere senza neanche ricorrere agli ammortizzatori sociali.

I licenziamenti nell’automotive

Il Corriere ha fatto il punto sulle aziende che hanno iniziato a procedere subito dopo lo sblocco, innescando una serie di scioperi e incontri al Mise. A partire dalla Giannetti Ruote di Ceriano Laghetto, la cui proprietà è in capo al fondo americano Quantum capital partner, che con una mail ai 152 lavoratori ha deciso di chiudere lo stabilimento in Brianza a causa della crisi, già avviata prima della pandemia, e poi resa insopportabile.

Altro stabilimento chiuso quello della Gkn Italia: il fondo Melrose ha inviato una comunicazione ai 422 dipendenti che realizzano componenti destinati alle case del settore automobilistico.

Stessa sorte ai 106 lavoratori della Timken di Villa Carcina, in provincia di Brescia, la cui proprietà è sempre di una multinazionale americana, e sempre attiva nel settore automotive: l’azienda è anche fornitore per la Nasa.

«Non si può permettere ai fondi e alle multinazionali di disfare il sistema industriale di questo Paese – le parole di Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil, riportare dal Corriere – il governo ha sbagliato a sbloccare i licenziamenti dell’industria senza aver messo in campo adeguate politiche industriali, vincoli per le imprese e una riforma degli ammortizzatori sociali in grado di affrontare la transizione ecologica nel rispetto dei lavoratori e dei territori. Vanno bloccati i licenziamenti nell’automotive – settore strategico per l’industria e parte rilevantissima delle nostre esportazioni – che attraversa una fase di profonda di trasformazione e riorganizzazione. Bisogna convocare il tavolo di settore per discutere di un piano quinquennale in grado di affrontare e sostenere la transizione e la rigenerazione con politiche industriali e strumenti a sostegno adeguati».

Che futuro per la produzione a zero emissioni?

Il pacchetto Clima annunciato dalla Ue obbligherebbe a produrre automobili a zero emissioni a partire dal 2035. E queste chiusure avranno un impatto in questo senso.  Per questo motivo le organizzazioni sindacali Filctem Cgil, Femca Cisl, Flaei Cisl e Uiltec Uil hanno manifestato la propria preoccupazione. «Non mettiamo in discussione la visione strategica del Green Deal, che condividiamo e sosteniamo – hanno scandito le segreterie nazionali dei 4 sindacati – ma riteniamo che per la Commissione Europea il concetto di giusta transizione sia ormai più uno slogan senza contenuti, piuttosto che il giusto percorso per non far pagare ai lavoratori il costo sociale dei processi di cambiamento. L’ulteriore accelerazione dei tempi e l’inasprimento dei parametri di costo rischiano di destrutturare il tessuto industriale di molti Paesi e in particolar modo dell’Italia che, considerata la struttura del suo assetto industriale, rischia di vedere pesantemente compromessa la propria competitività. L’accelerazione imposta per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Europa al 2030 e al 2050 metterà in crisi intere filiere produttive, soprattutto quelle energivore, attraverso i nuovi sistemi di tassazione Ets e carbon tax, producendo per questa via drammi sociali che molti Paesi, ma soprattutto l’Italia, non sono in grado di sopportare se non dentro un processo graduale che accompagni e governi il cambio di modello di sviluppo».

Tavoli di crisi

È la viceministra al Ministero dello Sviluppo Alessandra Todde ad aspettarsi una crescita dei tavoli di crisi: in corso le vertenze di Whirlpool, ex Ilva, Alitalia, Air Italy, Sider Alloys, Porto Canale di Cagliari e Treofan di Terni. Intanto si sono susseguiti gli scioperi e le manifestazioni alle Acciaierie D’Italia, ex Ilva, che interessa fino a 4 mila addetti a Taranto e quasi mille in Liguria. Una richiesta che per lo stabilimento di Cornigliano di Genova sarà ridotta dalle 981 persone iniziali a 250 al giorno. Whirlpool, dal canto suo, ha bloccato la produzione nello stabilimento di Napoli da oltre otto mesi e alla Butec di Termini Imerese (PA) 635 dipendenti sono in cassa integrazione. «È urgente avere chiarezza sul prossimo futuro per scongiurare il rischio liquidazione, licenziamenti e intraprendere la strada della reindustrializzazione, visto l’impegno finanziario di risorse pubbliche per le infrastrutture a partire dal porto», hanno affermato Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive e Roberto Mastrosimone, segretario generale Fiom-Cgil Sicilia, come riporta ancora il Corriere.

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