Le sfide HR per le aziende italiane all’estero: il convegno Salini Impregilo

Secondo l’Istat sono 23 mila le controllate italiane all’estero. Nei processi di internazionalizzazione la gestione delle risorse umane è la chiave del successo: se ne è parlato in un convengo organizzato da Salini Impregilo

convegno salini impregilo

Un’idea diffusa vuole che le imprese italiane siano terreno di conquista da parte di quelle estere e viceversa non riescano a darsi una dimensione internazionale.

In realtà gli ultimi dati Istat dicono che a fronte di circa 14 mila aziende a controllo estero in Italia, le controllate italiane all’estero sono quasi 23 mila (+13% dal 2007 al 2015). Le multinazionali italiane sono presenti in 173 paesi, consolidando e rafforzando l’apertura e l’integrazione internazionali. Quasi la metà delle medie e grandi aziende italiane ha realizzato almeno un’acquisizione e nell’81% dei casi tale acquisizione è avvenuta all’estero.

In un contesto di internazionalizzazione sempre crescente, un fattore chiave di successo è senz’altro la gestione delle risorse umane. Ogni acquisizione o fusione oltreconfine, infatti, comporta nuove sfide da affrontare dal punto di vista dell’organizzazione e dell’HR: quando ci si affaccia in un nuovo Paese occorre, ad esempio, mettere in campo non solo le cosiddette competenze hard – quali la conoscenza delle legislazioni locali per il lavoro, delle regole per assunzioni e licenziamenti, dei bilanciamenti dei pacchetti retributivi – ma anche competenze soft che riguardano i modelli culturali dei vari Paesi. Si è parlato di questi temi nel convegno “Le sfide HR nei processi di internazionalizzazione”, organizzato da Salini Impregilo alla Triennale di Milano nell’ambito degli eventi legati alla mostra fotografica multimediale “Cyclopica – the human side of infrastructure”, promossa dal Gruppo e dedicata ai temi del lavoro nelle grandi infrastrutture complesse. Protagonisti del panel, oltre a Gian Luca Grondona, Group HR & Organization Director Salini Impregilo, alcuni tra i più importanti responsabili HR che hanno recentemente affrontato situazioni di integrazione a livello internazionale.

Leader nel settore delle grandi infrastrutture, Salini Impregilo – che conta 35 mila dipendenti di cento nazionalità diverse e oltre il 90% del fatturato all’estero – ha maturato una grande esperienza nei processi di internazionalizzazione. “Nella gestione delle risorse umane l’aspetto hard è molto importante – ha spiegato Gian Luca Grondona, Group HR & Organization Directorma quello soft è indispensabile, perché una mancata integrazione culturale può far fallire tutto. Il settore delle grandi opere infrastrutturali è agile per definizione, con corporate molto snelle e periferie indipendenti, e l’industrializzazione e centralizzazione dell’organizzazione possono apportare miglioramenti in termini di efficienza”.

Ha insistito sulle competenze soft anche Fabrizio RutschmannChief Human Resources Officer del Gruppo Prysmian (circa 30 mila dipendenti distribuiti in oltre 50 Paesi): “Nei processi di internazionalizzazione è necessario un forte impegno nella definizione degli aspetti organizzativi e di business, ma soprattutto sugli elementi culturali e valoriali che devono ispirare i comportamenti di tutti i collaboratori. Per noi elementi chiave sono trasparenza e fairness: si vince con le persone migliori e dando alle persone delle aziende acquisite le stesse opportunità che hanno quelle delle aziende che acquisiscono”.

Fabio Cantatore, Senior Partner & Managing Director di The Boston Consulting Group a Milano ha sottolineato come il sistema agile sia fondamentale per gestire le aziende senza renderle inutilmente complicate, valorizzando la componente delle persone, e come questo porti a risultati superiori e maggiore engagement.

Nel suo intervento Claudio Colombi, Chief Human Resources Officer di Coesia – gruppo di aziende di soluzioni industriali e di packaging che ha avuto una forte crescita anche grazie a una serie di acquisizioni internazionali – ha ricordato come il gruppo sia passato da essere una “federazione di aziende” ad avere un approccio “one group”, facendo delle sinergie la chiave di volta soprattutto per generare ricavi, e non solo per ridurre i costi.

Andrea Pecchio, Partner di Spencer Stuart ha sottolineato come il capitale umano abbia un valore essenziale nei processi di internazionalizzazione. Inoltre ha puntato l’attenzione sulla valorizzazione del management e del leadership team in aziende che abbiano un contesto internazionale, indicando alcuni elementi su cui riflettere: “Occorre trovare il giusto equilibrio tra la valorizzazione dei leader presenti in azienda e l’inserimento di nuovi executive provenienti dall’esterno, in modo da dare linfa nuova e arricchire il tessuto manageriale. È, inoltre, opportuno lavorare su percorsi di sviluppo trasversali dei manager valorizzando il passaggio da una funzione a un’altra e da una geografia a un’altra. Infine, se l’internazionalizzazione è la chiave di volta dello sviluppo delle aziende, dobbiamo aprire parte del nostro management team a executive stranieri”, ha concluso Pecchio.

Ma come creare una cultura comune tra manager di diversa provenienza?

In proposito Stefano Napoletano, Senior Partner di McKinsey & Company ha riportato l’esperienza di McKinsey: “Quello che facciamo è provare a portare avanti un modello di leadership a cui ispirarsi, che non è italiano, francese o tedesco ma è cross-culturale e globale. Un modello che si basa su quella che viene definita “servant leadership”, ossia l’idea che gli incarichi siano prima di tutto carichi. Che chi si trova in ruoli apicali deve essere per prima cosa al servizio degli altri, e su questo principio si basano anche le valutazioni periodiche: è un modello di leadership che ci permette non solo di ispirare i più giovani ma anche di realizzare integrazione culturale, mantenere standard di qualità e dare significato al lavoro”.

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