Smart working e Covid-19, non solo ansia e iper lavoro ma anche più tempo per la famiglia

Mentre alcune aziende decidono di prolungare il lavoro da remoto, Linkedin presenta una ricerca che rivela luci e ombre della vita professionale da remoto

smart working

Facebook, Google, Twitter, Amazon hanno già comunicato ai propri dipendenti che potranno lavorare ancora da casa, in alcuni casi almeno fino a fine anno. Rientrerà in ufficio, a seconda delle società, o chi ne ha bisogno – come hanno stabilito Facebook e Google – o semplicemente chi lo desidera, come sta valutando Twitter. “Le persone che erano reticenti a lavorare in remoto ne scopriranno i vantaggi”, aveva sostenuto Jennifer Christie, a capo delle risorse umane del social network, intervistata nei mesi scorsi da alcuni organi di stampa. “E i manager che non pensavano di poter gestire le persone a distanza ora cambieranno opinione. Non penso torneremo indietro”.

Di certo nella Silicon Valley la flessibilità di orario era già una realtà da tempo, ma sempre più aziende sostengono che dallo smart working non sin tornerà indietro, sebbene quello sperimentato durante il lockdown non sia stato veramente lavoro agile, quantomeno non per tutti, ma piuttosto lavoro da casa. Con le enormi difficoltà logistiche che ciò ha comportato.

Molti architetti sono comunque già all’opera per ripensare e ridisegnare gli spazi, nei quali calerà il numero di persone presenti contemporaneamente.

Quali norme?

Il lavoro, così diversamente riorganizzato, porterà con se’ tutta una serie di nodi normativi da sciogliere, perché il rischio di non staccare mai, rispetto a ciò che accade in ufficio, è elevato. In Italia una legge tutela questa modalità di lavoro dal 2017, ma una ricerca recente realizzata da Linkedin mostra che gli effetti negativi si stanno già sentendo. Al di là dello stress e dell’ansia, percepiti dal 46% degli intervistati, è aumentato anche l’impegno: il 48% del campione ha dichiarato di lavorare almeno un’ora in più al giorno. Tanti (il 22%) hanno rivelato, poi, di essersi sentiti in obbligo di rispondere on line più del solito e di iniziare le giornate lavorative in anticipo, andando oltre le canoniche otto ore.

Il risvolto della medaglia di stress, fatica e ansia da prestazione è però quello di avere avuto la possibilità di trascorrere più tempo con la famiglia e i figli (il 50%); non solo, c’è anche chi ha dichiarato di aver mangiato in modo più sano (il 27%), di aver fatto più esercizio fisico (il 14%).

Rischio burnout

Il burnout, però, è in agguato: gestire il lavoro da casa (e non “da remoto”, come prevederebbe lo smart working), ha aumentato per molti la fatica emotiva e psicologica. In un’intervista a Repubblica, Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi ha spiegato che “il lavoro da casa e l’impossibilità di uscire ci hanno obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero”. Queste le sue parole: “L’organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita. Una possibilità che ora manca, costringendoci al confronto costante con l’isolamento o alle relazioni con i conviventi, spesso con la difficoltà di definire un soddisfacente work-life balance. È comprensibile sentirsi smarriti e frastornati dalla novità, tuttavia è altrettanto cruciale sfruttare il ritrovato contatto con se stessi per imparare ad ascoltarsi e ripensare emozioni, ansie, paure”. “Quando le persone vivono una grande incertezza – continua Parolin – è normale che questa si trasformi in ansia o paura, soprattutto quando si teme di perdere il lavoro, come i rivelano i dati di LinkedIn”.

error

Condividi Hr Link