Smart working e people analytics, è questa la sfida del futuro per gli Hr

Una ricerca condotta da Osservatorio Imprese Lavoro e Inaz mostra l’importanza di digitalizzazione, flessibilità e attrattività delle aziende

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Smart working (64%), performance management (60%) e digital learning (57%): sono queste le priorità degli Hr manager secondo i risultati emersi dalla ricerca Future work and HR Tech realizzata dall’Osservatorio Imprese Lavoro e Inaz. Oltre 100 i direttori coinvolti nello studio, da cui emerge che lo smart working resta una priorità e la digitalizzazione non è l’unico ambito su cui concentrarsi, soprattutto se si osservano le esigenze dei millennials, particolarmente interessati alla conciliazione della sfera personale con l’ambito lavorativo. Insomma, come si legge nel report, nell’introduzione firmata dalla presidente e amministratore delegato di Inaz, la generazione Z spinge verso nuovi ambiti – ad esempio la diversity e il long life learning, oltre che un sempre più elevato equilibrio tra vita privata e lavorativa – e il cosiddetto “fattore umano” deve essere al “centro dell’operato delle imprese”.

La rivoluzione del mondo del lavoro

Più la digitalizzazione avanza, più bisogna recuperare umanità – spiega Fabrizio Armenia, direttore Risorse Umane di Inaz – L’intelligenza artificiale va a sopperire a tutte le attività a basso valore aggiunto, ma si sta evolvendo, iniziando a prendere sempre più decisioni e alzando il livello del proprio valore. In questo senso, ovviamente, i professionisti di domani dovranno avere ampie competenze di intelligenza emotiva, in modo da poter gestire al meglio i talenti e i flussi di lavoro”.

La rivoluzione che il mondo del lavoro sta vivendo è dunque tecnologica, generazionale e culturale e il Paese dovrà essere reattivo rispetto a questi mutamenti perché a cambiare è il concetto stesso di posto di lavoro. “Nel 2020 – commenta Stefano Bottaro, direttore Risorse Umane di Avio spa – bisognerà lavorare ancora molto sulla cultura aziendale”. È importante, dunque, che i direttori delle Risorse Umane imparino sempre di più a farsi promotori dei valori della propria organizzazione, sia internamente sia esternamente all’azienda, al fine di renderla sempre più attrattiva con pratiche di employer branding ed employee engagement.

Purtroppo però, benché il ruolo strategico del talent management sia riconosciuto univocamente, la ricerca fa emergere anche una carenza: solo il 7% degli intervistati ha confermato che in azienda vengano utilizzati in modo strutturato i dati relativi alle performance e alla valutazione del potenziale degli addetti. Una carenza che riflette un approccio soggettivo e non data-driven nel definire le politiche di gestione del capitale umano.

La metodologia di studio

La ricerca ha cercato di mettere in luce gli orientamenti strategici della funzione Risorse Umane. Ciò che si osserva è che le tecnologie digitali hanno profondamente cambiato le abitudini delle persone e il loro modo di lavorare, talvolta anche in senso negativo: gli Hr si aspettano un indebolimento delle competenze legato alla difficoltà di memorizzazione e di elaborazione di un pensiero critico profondo, scenario che risulta paradossale se si considera che queste stesse competenze saranno sempre più necessarie per capire un mondo complesso. Si legge nella ricerca: “L’uso massiccio dei social network ha creato aspettative diffuse di visibilità e protagonismo e la frammentazione, moltiplicazione e despecializzazione delle fonti di informazione, con grandi difficoltà a separare le fonti attendibili da quelle non qualificate o strumentalmente distorcenti”.

Quali sono le priorità dell’azienda; quali iniziative e investimenti prevede di introdurre nell’area HR; quali sono gli obiettivi che intende raggiungere dagli investimenti nell’area HR; quali competenze deve acquisire/migliorare la funzione HR; come sono prese le decisioni relative a talent management e piani di successione: queste le domande poste nell’ambito della ricerca, che ha identificato come priorità lo smart working (64%), il performance management (60%) e il digital learning (57%). A queste si aggiunge la diffusa convinzione della necessità urgente di cambiamento: chi saprà cogliere la sfida, nonostante la mancanza di standard e l’incertezza, riuscirà con ogni probabilità a ottenere maggiori risultati.

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