Talent management, un difficile bilanciamento

TAVOLA ROTONDA | Gestire i talenti e trattenerli è materia complessa che richiede precise strategie. Come identificare le risorse chiave in una determinata fase del business? E soprattutto, come armonizzare lo sviluppo individuale con il lavoro in team? Abbiamo chiesto una risposta a tre professionisti

talent management

Conquistare i migliori talenti sul mercato è solo la prima parte del “lavoro” di un’azienda, e non quella più difficile. Gestirli all’interno dell’organizzazione e trattenerli è materia molto più complessa che riguarda da vicino i responsabili delle risorse umane. Quale deve essere, dunque, il ruolo degli HR manager nella gestione dei talenti e nello sviluppo della loro carriera?

Come identificare le risorse chiave?
Abbiamo chiesto una risposta a tre professionisti che si occupano di gestione del capitale umano da punti di vista diversi.

 

Peter Durante
Vice President Human Resources & Organization Central Eastern Europe Prysmian Group

Dottor Durante iniziamo parlando in termini generali: esiste il talento in senso assoluto, o il talento deve essere letto alla luce di quanto è funzionale all’azienda?

“A mio avviso ci sono due tipi di talento. Un talento assoluto sì, è quello delle persone capaci di leggere le situazioni, dotate di quella che chiamerei intelligenza situazionale che gli permette di comprendere il massimo potenziale in ogni leva di business di un’azienda, qualsiasi azienda. Poi c’è il talento tecnico, molto settoriale e di nicchia, che riguarda per esempio le industrie e le aziende manifatturiere, e che è proprio di coloro che hanno capacità tecniche elevate o in un certo ambito hanno una marcia in più quanto a competenze”.

Come Prysmian Group qual è la vostra politica in termini di talent management?

“Come Gruppo abbiamo una filosofia portante e vari strumenti per attuarla, strumenti che sono diversi a seconda del territorio a cui ci rivolgiamo. Io sono a Berlino e la mia area di competenza è il Central Eastern Europe, un’area in cui, a differenza dell’Italia in cui Prysmian è un brand importante, siamo ancora indietro come employer branding. Quindi dobbiamo lavorare in primo luogo per affermarlo. In più, nei Paesi dell’Est la “guerra dei talenti” è molto forte perché c’è uno shortage di risorse importante: molta domanda e poca offerta. I nostri competitor sono brand forti dell’automotive (come Audi), che negli ultimi anni hanno fatto notevoli investimenti in quest’area e che assumono 4-5 mila persone per stabilimento. Dunque per conquistare i migliori talenti non basta offrire di più dal punto di vista economico, dobbiamo fare altro: veicolare un sogno – disegnare il futuro di energia e comunicazione – quello che gli altri veicolano con un brand”.

Qual è dunque la vostra strategia per trattenere i talenti di fronte a tanta concorrenza?

“In quanto a retention, non potendo competere a livello puramente economico, “vendiamo” soprattutto la nostra presenza internazionale. Dunque offriamo un piano di esperienza all’estero, un percorso manageriale con un anno di training pagato da noi e l’impegno ad assicurare un ruolo di middle manager nel proprio Paese di provenienza. Per chi invece non si vuole spostare prevediamo programmi mirati di training che possono contare su un network internazionale, molto importante per i Millenials, e che altre aziende non possono fornire. E poi mettiamo sul piatto l’aspetto valoriale: siamo un’azienda “famigliare” nel senso buono del termine, inteso come etica, trasparenza nelle strategie, condivisione dei target. Ci aiuta in questo essere una public company: la gente di talento vuole fare la differenza, da noi può perché non è la proprietà a dettare le strategie. Siamo noi all’interno che facciamo la strategia e ci diamo target sfidanti, li sottoponiamo a un board indipendente e, se approvati, siamo noi stessi a doverli realizzare”.

 

Professoressa Silvia Bagdadli
Docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università Bocconi

Professoressa esiste il talento assoluto?

“No direi proprio di no, esistono piuttosto talenti funzionali alle singole aziende o contesti di business. Generalmente per identificare i propri talenti le imprese utilizzano due dimensioni: quella della prestazione, che deve essere superiore alla media, e quella del potenziale, inteso come possesso delle competenze che servono per ricoprire una posizione di alto livello. Entra in campo quindi il modello di leadership che è diverso da azienda ad azienda e che delinea le competenze ritenute fondamentali per poter guidare quella azienda in futuro. Chiaramente ci sono alcune skills ricorrenti: per esempio, in alcune imprese, si utilizza come dimensione del potenziale la “learning agility”, intesa come la capacità di apprendere e cambiare velocemente”.

Qual è il ruolo degli HR manager nella gestione dei talenti e nello sviluppo della loro carriera?

“Senza dubbio rivestono un ruolo molto importante nell’identificazione e nella crescita dei futuri leader. L’attività di sviluppo della carriera dei talenti spetta in prima battuta ai rispettivi capi, ma con il sostegno fondamentale dell’HR manager che deve presidiare i processi di identificazione e crescita delle persone più talentuose all’interno dell’azienda. Dai sistemi di valutazione delle prestazioni fino all’implementazione del programma talenti che deve prevedere, per esempio, interventi per lo sviluppo on the job, come spostamenti laterali o internazionali e attività di sviluppo one to one, attraverso il coaching o il mentoring. Il compito dell’HR è anche quello di realizzare un monitoraggio costante di prestazione e potenziale, per non lasciare indietro chi si avvicina molto ai requisiti richiesti dall’azienda ai futuri leader ma che ancora non li raggiunge a pieno”.

Ma come armonizzare lo sviluppo individuale con il lavoro in team?

“In effetti uno dei limiti, più volte sottolineato, dei progetti di talent management è quello di creare organizzazioni di persone molto individualiste, focalizzate sui risultati individuali e sul proprio sviluppo personale e sulla propria carriera. Mentre sono diverse le evidenze che dimostrano che le aziende funzionano meglio se le persone lavorano insieme. Esistono, però, dei correttivi, per esempio l’inserimento tra le competenze strategiche richieste dall’azienda della capacità di lavorare in team, oppure l’identificazione di obiettivi in parte condivisi e comuni a un team di  persone”.

 

Roberto Degli Esposti
Executive Business Coach e Managing partner SCOA

Dottor Degli Esposti il tema del talent management è sempre più cruciale, avere competenze di coaching può aiutare i manager a gestire meglio i propri talenti?

“Sicuramente sì, perché la finalità del coaching è proprio quella di trasformare i talenti in talenti espressi. La metodologia del coaching aiuta a esprimere, attraverso i comportamenti, le competenze che servono all’azienda. E in effetti sono sempre più, negli ultimi anni, i manager che non avendo competenze di coaching frequentano i nostri corsi per diventare coach. E dall’altra parte sono sempre di più le aziende che cercano per le posizioni manageriali persone che abbiano strumenti di coaching, perché questi consentono di svolgere al meglio il ruolo”.

Quali tecniche sono più utilizzate nei programmi talenti?

“Più spesso viene utilizzato il group coaching. Ossia si focalizzano una o due competenze o comportamenti strategici per quella organizzazione e si aiutano i talenti, nella dimensione del gruppo, ad acquisire quella abilità pratica, a mettere in campo quella specifica competenza. Molto più raro è il coaching individuale, anche perché in genere il programma talenti è un percorso di transizione quando ancora non è stato individuato un ruolo definito di atterraggio. Il coaching individuale è consigliato, invece, al termine del percorso, quando il talento è atterrato al suo ruolo all’interno dell’azienda. Il mentoring, invece, è il coaching attrezzato con sapienza. Il mentore è una persona già in azienda che aiuta gli altri a percorrere la strada che lui ha già percorso. Con la tecnica del mentoring noi offriamo gli strumenti per stare in relazione con il mentore, per stare nella sua esperienza”.

Quale consiglio può dare a chi entra a far parte di un programma talenti?

“Una raccomandazione molto importante per coloro che partecipano a un programma talenti è che siano sempre allenati a lavorare in squadra. Sempre più si sta affermando un modello di lavoro non individualistico ma in team, su progetti anche transnazionali e transaziendali. Purtroppo questo tipo di lavoro in squadra è una dimensione scarsamente praticata nel curriculum formativo”.

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