Tecniche di selezione del personale, i segreti dei professionisti HR dallo screening del cv al colloquio

Dal gaming all’intelligenza artificiale, cambiano gli strumenti ma soprattutto l’approccio al candidato. Ne abbiamo parlato con Silvia Caccia, responsabile Selezione & Empolyer Branding di Italgas.

silvia caccia

Da adattare a seconda del ruolo richiesto, del profilo del candidato e della cultura aziendale, ogni HR utilizza tecniche e strategie volte a massimizzare le chance di successo nel processo di selezione del personale. Un approccio che parte a monte, dallo screening dei cv per poi concretizzarsi nelle fasi finali dei colloqui o nei processi di assessment. Abbiamo chiesto a Silvia Caccia, responsabile Selezione & Empolyer Branding di Italgas le proprie strategie per trovare (e assumere) il candidato migliore.

Dottoressa Caccia, come sono cambiate le tecniche di selezione del personale negli ultimi anni?

«Sicuramente sono molto cambiati gli strumenti, assolutamente più innovativi, per dialogare con i candidati stessi, così come la possibilità di agire su database più efficaci. Ma è cambiato soprattutto (o deve cambiare) anche il modo di porsi nei confronti dei candidati, dal momento che a mutare è stata anche la popolazione che si rivolge alle aziende. Mi riferisco prevalentemente ai profili più giovani, perché se parliamo di quella che è la porta di ingresso al lavoro dobbiamo guardare ai cosiddetti Millennials e scendere in giù. È sicuramente diverso ciò che queste fasce di età chiedono alle aziende. Prima la richiesta di chi cercava lavoro era prevalentemente legata alla sicurezza, alla possibilità di essere formato e avere un percorso professionale. Il candidato in qualche modo si approcciava con un certo grado di umiltà: so di non sapere, formatemi, vi dimostrerò quanto so fare e da lì costruiremo insieme il nostro percorso. Con una evoluzione del proprio percorso professionale, il candidato toccava con mano responsabilità crescenti, quali “quante persone posso gestire man mano che cresco?”, “che tipo di ufficio mi dai?”(anche a livello di status symbol), “come è visibile il mio percorso?”. Oggi è cambiato molto il paradigma».

Cosa interessa alle nuove generazioni?

«Ciascuno ha interesse ad avere un proprio percorso professionale, ma molto più tailor made. È anche un po’ il motivo per cui la funzione di employer branding è di fatto sempre esistita ma oggi ha un’accezione molto più incentrata sull’attrarre talenti. Faccio un esempio: Italgas è un’azienda che esiste da 200 anni, con percorsi differenti. Per le generazioni precedenti il fatto di avere 200 anni di storia, di essere un’azienda stabile, tecnicamente molto preparata, così come la possibilità di restare per tutta la tua carriera all’interno stessa azienda, era un valore. Oggi ci viene chiesto esattamente l’opposto: quanto siete innovativi, che cosa potete fare per me, dove vuole andare questa società, come io posso far parte di questo percorso, che tipo di esperienze differenti posso fare. Dal punto di vista gestionale, tutto questo ha una sua complessità perché vuol dire dedicarsi alla gestione di queste persone in maniera differente. Ma anche dal punto di vista della selezione è cambiato il modo di porsi: prima l’azienda ti selezionava, quindi c’era “una fila” e si sceglieva chi era coerente con la posizione ricercata. Ovviamente l’attività di screening, di selezione si continua a fare, ma parte da un percorso che è molto più di ingaggio iniziale, molto più di racconto. E in questo senso vengono assolutamente d’aiuto le nuove tecnologie: io pubblicizzo l’azienda in senso più ampio e poi le vacancy specifiche utilizzando canali che sono tantissimi e diversi, mentre prima erano più statici. L’avvento dei social, di momenti di talent day virtuali, il poter invitare le persone a partecipare a degli eventi in maniera più semplice da remoto ha cambiato completamente il paradigma».

Parliamo invece di tecniche e trucchi di selezione…

«Non ci sono ricette che valgono per tutti. Sicuramente c’è un tema che vale indipendentemente dal fatto che si utilizzino delle tecniche innovative o meno e che è curare il percorso in maniera molto precisa fin dall’inizio, quindi fin da subito capire bene qual è la necessità, le caratteristiche, le competenze tecniche e le soft skills da ricercare. Sembra una banalità, ma mettere d’accordo le varie voci non è scontato, perché sempre di più le aziende sono organizzate a matrice: non c’è più un unico decisore, ma c’è l’HR, c’è il responsabile selezione, l’HR business partner, il responsabile diretto della posizione, così come il line manager, che in alcuni casi è dall’altra parte del mondo. Quindi prima di tutto occorre non dare nulla per scontato, anche dal punto di vista della richiesta. Poi, una volta che la persona entra in fase di selezione, partendo dal fondo, serve un’intervista il più strutturata possibile. I colloqui non sono più delle interviste di semplice racconto della propria esperienza professionale, è bene utilizzare tutte quelle tecniche che possono consentire di raccontare dei fatti concreti. Faccio riferimento alla classica intervista STAR, che consiste nel riportare la persona a una situazione che ha vissuto, chiedendo quali erano gli obiettivi, se è riuscito a portare a casa questi obiettivi, quali sono le complessità che ha gestito, che cosa ha imparato da quel tipo di evento, che cosa ha appreso da un errore e che cosa non rifarebbe, quali possono essere gli aspetti di successo della propria attività. Il tutto è reso più semplice, organizzativamente parlando, dalle videointerviste sincrone. Però, nonostante la facilità di organizzazione che ci danno le nuove tecnologie, il rischio fortissimo è la poca attenzione. Paradossalmente è necessario un tempo ulteriore e una concentrazione più elevata per non perdersi, visto che siamo lontani: il pericolo è quello di smarrire le sfumature e il livello di ingaggio verso l’opportunità. Cioè: qual è la motivazione vera di questa persona, che magari si ritaglia mezzora mentre è in macchina e viene a sentire tanto per sentire? Se le avessimo chiesto di fare un’ora e mezza di strada, sarebbe venuta lo stesso?»

E per quanto riguarda gli strumenti? Cosa è cambiato?

«Così come i canali di diffusione dell’opportunità dipendono molto dal tipo di posizione che si sta cercando, anche gli strumenti di selezione saranno tanto più complessi quanto più è complessa la posizione. Ad esempio: un video di presentazione, l’invio di interviste asincrone, con domande preorganizzate cui la persona deve rispondere… esiste tutta una serie di barriere che fanno sì che tutto ciò che è a più basso valore aggiunto venga gestito con l’intelligenza artificiale. Il cv è l’ultima cosa che andremo a valutare.

Ci possono essere ad esempio iniziative di job call, basate su una sfida: fingi di essere il futuro marketing manager di quel prodotto e inviaci un tuo lavoro relativo a uno specifico compito assegnato. Così come tecniche evolute di gamification, per valutare le persone facendole giocare. Ad esempio dal sito dell’azienda, prima di decidere se candidarmi, devo rispondere a una serie di domande, come se fosse un quiz. In altri casi invece ci sono sfide fatte insieme. È una tecnica molto apprezzata dalle persone: tornando a quello che dicevamo prima sull’employer branding, quanto più si investe in innovazione nel fare recruiting e più si darà un’immagine innovativa dell’azienda.

Ci sono però anche ruoli più specialistici, più senior, in cui la mentalità di una persona che si avvicina appartiene a una generazione differente, che ha desideri diversi, e quindi si cambia strumento. Non c’è nessuna tecnica giusta o sbagliata in senso assoluto, ma solo più o meno coerente rispetto all’opportunità e al percorso. Se sto cercando una persona che sia molto tecnica, preparata, che farà per tanti anni di fila quel ruolo, la selezione sarà affrontata con un altro tipo di analisi. Ma, specie in Italgas, stiamo cambiando così velocemente pelle che tra due anni saremo qualcosa di diverso. Pertanto, se devo pensare al futuro della società, allora l’assessment sarà molto più sbilanciato sulla parte di potenziale, che non sulle competenze tecniche».

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