Un ponte verso il futuro. Sperimentare nell’area dello Stretto di Messina nuove politiche attive del lavoro

Il dibattito riguardante la realizzazione del Ponte sullo Stretto ha ripreso vigore in tempi recenti non solo per l’aspetto infrastrutturale, ma per l’impatto che progetti di questa portata possono avere sul fronte occupazionale e sulle politiche attive del lavoro.

ponte sullo stretto

Il Ponte sullo Stretto è stato proposto come un’opera capace di generare un considerevole numero di posti di lavoro diretti e indiretti. Le fasi di costruzione richiederebbero una forza lavoro specializzata e non, coinvolgendo diverse figure professionali, dalle maestranze tecniche agli addetti alla sicurezza. Tuttavia, è essenziale che le politiche attive del lavoro siano messe al centro dell’attenzione per garantire che i benefici occupazionali siano duraturi e distribuiti in modo equo. Abbiamo affrontato il tema con Tiziano Minuti Human Resources Communications Manager in Caronte & Tourist S.p.A., società di navigazione attiva nel settore dei trasporti marittimi, in particolare nella zona dello stretto di Messina. 

Ponte sullo Stretto, facciamo il punto. Dal suo punto di vista, cosa vorrà dire in termini di politiche del lavoro? 

“Negli anni a venire lo Stretto di Messina si candida a diventare il banco di prova di nuove e concrete politiche del lavoro finalmente attive, capaci cioè di progettare e innescare percorsi che – nella prospettiva di un inedito e verosimilmente irripetibile investimento per infrastrutture – coniughino occupazione esistente e occupazione insorgente, attraverso iniziative di ammortizzazione sociale non assistenziale e di formazione/riqualificazione promosse nell’ottica della ricollocazione. 

Il passaggio dal “se” al “come” nel dibattito sulla costruzione del Ponte sullo Stretto è stato salutato favorevolmente da chi non ha un approccio ideologico al tema. In tanti si sono esercitati (laicamente, verrebbe da dire) sulle opere solo apparentemente di corollario che dovrebbero accompagnarsi alla realizzazione del manufatto stabile, nel presupposto che esso non debba diventare un caso paradigmatico di cattedrale nel deserto, ma possa essere volano formidabile per la resurrezione di territori fin qui esclusi o messi ai margini dei circuiti virtuosi dello sviluppo. “ 

Quali sono gli scenari futuri e come si incastrano nella realizzazione di un progetto di così vasta portata? Cosa succederà al sistema di trasporto attuale? 

“Ove dovessero prendere corpo gli scenari fin qui enunciati o auspicati, la situazione a regime registrerebbe l’ammodernamento di reti viarie e ferroviarie e, per quel che riguarda più da vicino il trasporto marittimo, la costruzione dell’approdo a sud di Villa San Giovanni sul versante calabrese, il completamento di quello di Messina/Tremestieri e il conseguente riaccorpamento dei flussi di traghettamento di autoveicoli e mezzi commerciali su quello messinese, e dunque una riduzione dei volumi di produzione e dei livelli occupazionali diretti, la cui dimensione non è allo stato attuale pronosticabile.  

Il sistema di trasporti nell’area larga dello Stretto ne uscirebbe drasticamente ridisegnato, rivoluzionato fin dalla concezione, finalmente organica e ragionata, in una dimensione complessa al punto da rendere indispensabile una cabina di regia unica, un’Autorità che assommi e accorpi in una visione strategica le prerogative a oggi disperse in più rivoli di competenza.  Una gestione univoca occorrerebbe tuttavia anche per il governo delle partite legate al mercato del lavoro.” 

Una riflessione importante ed essenziale, perché coinvolge molti ambiti e soprattutto un territorio che certamente si dovrà riorganizzare sulla base di nuove modalità e nuove aspettative. 

Quali sono le aspettative per i territori coinvolti nella realizzazione del Ponte? Cosa accadrà al sistema occupazionale? 

“Il territorio che lo ospiterà, dal Ponte attende soprattutto occupazione. Sia durante che dopo la sua costruzione. Le stime sui posti di lavoro finora prodotte appaiono viepiù inintelligibili (dai 17mila del 2011 ai 120mila del 2023), ma quel che pare certo è che gli incrementi occupazionali si conterebbero in decine di migliaia. A meno che non ci si accontenti di sprazzi di manovalanza sprecando un’occasione non più rieditabile, occorrono dunque centri di formazione che – col coinvolgimento di aziende locali – producano professionalità utili alla costruzione e alla manutenzione del ponte e delle infrastrutture a esso correlate, riqualificando prioritariamente il personale che risulterà in esubero da altri settori, a partire dal trasporto marittimo.  

Ma occorrono anche ammortizzatori sociali ridisegnati – nelle quantità, nella qualità e nei sistemi di controllo, preventivo e in corso d’opera – a misura di un progetto di riorganizzazione territoriale con pochissimi precedenti nel Paese, trattandosi di una potente dotazione infrastrutturale con riflessi altrettanto potenti sulla dimensione sociale ed economica di un’area che diverrebbe crocevia strategico del collegamento tra nord Africa e nord Europa. 

È una dimensione che va pensata qui e ora, in parallelo agli aspetti ingegneristici e di costruzione, attraverso la quale la politica e le istituzioni hanno l’occasione per dimostrare che si è realmente passati dalla propaganda alla strategia. Le comunità dello Stretto non aspettano (e meritano) altro.” 

Il tema Ponte sullo Stretto quindi si configura come un’occasione di dibattito e confronto, ma soprattutto come opera capace di ridisegnare molti degli scenari territoriali, logistici e sociali del nostro paese, soprattutto nell’ottica di una maggiore attenzione alle politiche attive in termini di lavoro e occupazione. 

 

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