Vince l’impresa inclusiva: Il pensiero divisivo è antistorico

I team con alto tasso di diversity sono più innovativi e fanno meno errori dei team omogenei. Con una strategia di inclusione, i risultati sono ancora migliori. I dati di una ricerca di Deloitte presentati in occasione del Global Inclusion, evento delle imprese inclusive che si è tenuto a Bologna. Ecco il modello per calcolare il ROI dei programmi di diversity

La diversità – di cultura, di genere, di orientamento sessuale, di opinione, di formazione, di salute, di abilità, di caratteristiche fisiche, di provenienza geografica – rappresenta una ricchezza non solo sociale e culturale, ma anche economica. Ci siamo occupati spesso nei nostri approfondimenti del valore per l’azienda creato da un buon diversity management (un nostro approfondimento), indicatori confermati da ogni ricerca successiva. I team con un alto tasso di diversity sono il 20% più innovativi ed evitano più facilmente di prendere decisioni sbagliate (il 30% in meno). Se poi alla diversità si combina la strategia inclusiva, allora l’impresa raddoppia la propria possibilità di raggiungere i target finanziari, con flussi di cassa 2,3 volte più elevati di quelli delle aziende meno inclusive.Questi dati sono tratti da una ricerca che Deloitte ha presentato a Bologna in occasione della prima manifestazione nazionale dedicata a “Global Inclusion – Generazioni senza frontiere, un momento di confronto tra Manager, professionisti, accademici e pubblici amministratori che hanno raccontato e ascoltato storie di diversità per superare stereotipi e pregiudizi consapevoli e inconsapevoli che spesso popolano i luoghi di lavoro. Un evento basato su un concetto cardine: il pensiero divisivo non è solo vecchio e antistorico, ma rischia anche di essere improduttivo e di ostacolare la crescita e la generazione di valore. La manifestazione è stata promossa dal Comitato Global Inclusion – Art. 3, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione Italiana.

“Global inclusion e art.3 della Costituzione: due modi per affermare la centralità della persona umana e l’importanza della partecipazione dei cittadini alla costruzione di un futuro sostenibile – ha dichiarato Luigi Bobba, Presidente del Comitato Global Inclusion Art. 3, esperto del Terzo Settore e già sottosegretario al Lavoro – “Global inclusion richiama immediatamente gli obiettivi dell’Agenda Globale 2030; l’art.3 della Costituzione rivela la sua sorprendente modernità nel guidarci a trovare una rotta in un tempo e in un Paese segnati profondamente dal rancore, dall’ esclusioni e dalla paura. Carta Costituzionale e Agenda globale 2030 rappresentano il filo rosso dell’azione del Comitato promotore che vuole dare appuntamento a tutti coloro  che vogliono costruire ponti e non muri, generare inclusione anziché esclusione, valorizzare le differenze invece che comprimerle. Consapevoli che l’inclusione rappresenta un decisivo driver per l’innovazione sociale e che la responsabilità sociale delle imprese non incide solo sulla reputazione delle stesse, ma è un fattore essenziale per crescere e cambiare”.

Il ROI

L’evento bolognese era prevalentemente rivolto all’inclusione lavorativa, mentre l’attività pura di diversity management è un qualcosa di più ampio ed è molto diffuso nelle aziende con una cultura della gestione del personale molto avanzata. Gestire la diversity è sempre più un fattore di competitività, tanto che ci sono anche modelli per misurare il ROI (il ritorno sugli investimenti) di un programma di diversity management.

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