Work life balance, cultura organizzativa e manageriale da cambiare

Le politiche di conciliazione sono uno strumento apprezzato dai lavoratori, attrattivo per i talenti e che non penalizza la produttività, ma per dare piena attuazione al WLB servono capi “family supportive”. Due ricercatori dell’Università di Bologna hanno analizzato il fenomeno, mentre alcune aziende tech degli Usa puntano sul “discretionary time off”

work life balance

Nei dibattito tra gli Hr si parla di Work life balance un giorno sì e l’altro pure. È un tema ormai di uso comune, non più confinato al dibattito tra gli specialisti in risorse umane. Nell’economia 4.0, la differenza la fanno i talenti e i talenti vogliono lavorare in ambienti dove sono implementate politiche di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. I dati a supporto li fornisce l’Employer brand research 2018 di Randstad: il 55% per cento dei lavoratori, su 30 Paesi, considera l’equilibrio tra vita privata e lavorativa come principale fattore di scelta di una azienda rispetto all’altra. Una cattiva gestione del work life balance è il secondo motivo per il quale un lavoratore abbandona l’azienda (al primo posto c’è lo stipendio). Eppure politiche di welfare e conciliazione avanzate non bastano: in assenza di una cultura aziendale e di un management comprensivo verso la vita dei lavoratori, continua a sussistere il rischio che i dipendenti rinuncino a tali politiche per paura di ripercussioni sulla carriera.

 

La ricerca

Marcello Russo e Gabriele Morandin, due ricercatori della Bologna Business School, hanno condotto una ricerca sul tema del work life balance, coinvolgendo 400 lavoratori con figli. “La ricerca – scrivono gli autori – ha evidenziato che i lavoratori impiegati in aziende percepite come di supporto alla vita familiare, oltre a registrare un livello di work-life balance più elevato, registrano anche una maggiore soddisfazione sul lavoro e un più alto tasso di retention. Risultati analoghi sono stati osservati per coloro che dichiaravano di lavorare con un capo definito “family-supportive”, attento cioè alle esigenze extra-lavorative dei suoi collaboratori”.

Un loro articolo sulla ricerca è comparso sulla rivista Economia & Management.
Una sintesi:
Il work-life balance (WLB) è una condizione soggettiva che si verifica quando un individuo percepisce un elevato livello di efficacia, soddisfazione e partecipazione negli ambiti della vita che sono per lui importanti. L’International Study of Work and Family, condotto in oltre 35 Paesi, evidenzia come le decisioni dei singoli individui in materia di WLB siano influenzate da fattori contestuali legati sia all’organizzazione di appartenenza sia al Paese di residenza. Per l’Italia, la ricerca fa emergere un quadro poco favorevole, sotto diversi aspetti: (a) di genere, (b) di equilibrio familiare in termini di sovraccarico di ruoli e (c) di cultura aziendale per quelle organizzazioni che non supportano la conciliazione tra vita professionale e vita privata. Fondamentale per superare queste difficoltà sarà l’impegno, sia a livello organizzativo sia a livello individuale, a rendere il WLB tema di discussione, modificando regole o prassi nocive.

 

Oltre la devozione

L’assunto che sta alla base del WLB è che chi lavora meglio è più produttivo e soddisfatto. Al contrario, non è più ben vista la figura dell’addetto totalmente devoto all’azienda. Per incentivare questo cambio di rotta serve innovazione nel modello organizzativo e una nuova cultura manageriale. Uno studio condotto da Google, denominato Oxygen, e finalizzato a individuare i comportamenti dei leader efficaci, ha evidenziato che i manager maggiormente apprezzati in azienda sono coloro che mostrano un elevato interesse verso la vita privata dei propri dipendenti, aiutando le persone a realizzare sia le proprie ambizioni di carriera che le proprie ambizioni personali. Poi ci sono i cambiamenti che interessano tutta l’azienda, e questi sono alcuni casi esemplari citati in un articolo dei due ricercatori dell’Università di Bologna: “Numerose aziende nel settore high-tech, come Virgin, Netflix e LinkedIn, stanno introducendo una politica denominata “discretionary time off” che permette ai lavoratori di assentarsi dal lavoro senza richiedere autorizzazioni o permessi particolari purché abbiano completato i propri compiti”.

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