Felicità sul lavoro. Come migliorare il benessere aziendale

Che ruolo ha il benessere personale sul posto di lavoro? Essere soddisfatti della propria posizione lavorativa, sentirsi motivati nel portare a termine i propri compiti e avere un buon rapporto con colleghi e superiori produce effetti diretti sul modo in cui affrontiamo la giornata in azienda. Non è solo una questione di qualità della vita: decenni di ricerche hanno dimostrato che stare bene sul posto di lavoro aumenta quasi tutti i risultati aziendali, inclusi vendite, produttività e accuratezza nello svolgimento dei compiti. È il cosiddetto “happiness advantage”: il più grande vantaggio dell’economia moderna è poter contare su una forza lavoro felice e impegnata.

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Ma cosa significa “felicità” sul lavoro? La lingua danese ha una parola apposita per indicare questo sentimento: arbejdsglaede”. Letteralmente “arbejde” significa lavoro e “glaede” sta per gioia o felicità, ma la loro unione richiama alla mente molto più della semplice soddisfazione per lo stipendio guadagnato o il benessere economico maturato con l’avanzamento di carriera. È semplicemente lo stare bene sul lavoro, amare quello che si fa e sentirsi felici di andare sul posto di lavoro.

Un concetto scandinavo che si sta estendendo anche ad altre latitudini. Negli Stati Uniti si è diffusa da qualche anno una nuova figura professionale che prende il nome di CHO, Chief Happiness Officer. Il “capo della felicità” lavora con gruppi di dipendenti per migliorare lo spirito di squadra, organizza momenti formativi o di coaching, si occupa di consulenze personali. Per assumere il particolare incarico servono skill specifiche: empatia e capacità di immedesimarsi nelle situazioni altrui, ma anche un certo carisma, l’attitudine al problem solving e la capacità di ispirare le persone.

Costruire la felicità ripartendo da se stessi

Anche in Italia alcune organizzazioni particolarmente attente al benessere dei propri dipendenti stanno provando a inserire il nuovo ruolo. Non basta però la nomina di un manager per diffondere “felicità” in azienda né per accrescere automaticamente il benessere sul posto di lavoro. Soprattutto se la situazione di partenza non è delle migliori: secondo la ricerca 2023 dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, solo il 7% dei lavoratori italiani – circa 1,3 milioni di persone – dichiara di essere “felice”. Appena l’11% sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo: psicologica, relazionale e fisica. L’aspetto più critico resta quello psicologico, con il 42% dei lavoratori costretto ad assentarsi almeno una volta a causa di un malessere personale o relazionale.

Come invertire allora il trend? Come in ogni aspetto della vita, anche sul lavoro la felicità non si raggiunge in un attimo, ma va costruita. E i manager che gestiscono gruppi di lavoro hanno la responsabilità di costruirla insieme all’organizzazione in cui sono inseriti, investendo sulle persone e su un approccio al lavoro che metta al centro il proprio e l’altrui benessere. Serve, in altre parole, una sorta di self-care check-in: prendersi il tempo di comprendere i propri bisogni fisici, mentali ed emozionali significa imparare a prendersi cura di se stessi e a riconoscere anche i bisogni delle altre persone. Adottare abitudini di vita sane anche sul lavoro – dalla postura all’alimentazione, dall’atteggiamento mentale al lavoro sui propri obiettivi – consente di potenziare il proprio equilibrio psico-fisico, rendendolo più stabile e duraturo nel tempo.

Secondo la psicologia comportamentale, due fattori contribuiscono principalmente ad accrescere il benessere sul lavoro: lo scopo e l’autonomia o libertà. Oggi le persone hanno soprattutto bisogno di capire non solo cosa stanno facendo, ma anche perché lo stanno facendo. Vogliono comprendere l’impatto di valore che stanno generando, sentirsi parte di un progetto ed essere più libere nel portare novità e nell’esprimere il proprio potenziale. Tutti obiettivi che possono essere raggiunti solo superando i tradizionali modelli manageriali di controllo e comando.

Ripensare la leadership in ottica “anticipante”

Se è vero che le persone felici sono più produttive, allora ogni organizzazione ha solo da guadagnare nel far sentire i propri dipendenti ascoltati e valorizzati. Avere la possibilità di esprimere le proprie ambizioni e il proprio potenziale è il primo passo per stare bene sul lavoro. In questo è determinante il ruolo di responsabili e manager, che dovrebbero guidare con il buon esempio gli altri per aumentare soddisfazione e appagamento sul luogo di lavoro. Le persone che sanno essere dei veri role model hanno un impatto sull’organizzazione e possono anche contribuire ad accelerare le performance del business.

Quel che serve oggi a manager e middle manager è una leadership “anticipante” che imprima la forma e l’atmosfera all’organizzazione. Una leadership che sappia guardare oltre, leggere i comportamenti del proprio gruppo di lavoro, stimolarne creatività, motivazione e impegno. Si tratta di un insieme di qualità e comportamenti personali che creano un contesto favorevole all’innovazione e permettono di riformare il sistema dall’interno. Perché modificare i propri comportamenti e adottare una serie di abitudini positive può cambiare il volto e l’operato di un’azienda. Aumentando il benessere e – perché no? – la felicità di chi ogni giorno si reca sul posto di lavoro.

 

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