IBM scommette sul reskilling: è la scelta vincente

Nella fase di digital transformation del sistema produttivo, il lavoro di aggiornamento delle proprie competenze è fondamentale per non essere tagliati fuori dal mondo del lavoro. Ne è convinta IBM, che ha creato al proprio interno il “Career Transition Center”. Ne abbiamo parlato con Andrea Raimondi, direttore HR di Ibm Italia

Andrea Raimondi direttore HR Ibm Italia

C’è da mettersi d’accordo sui numeri, non sul fatto che la rivoluzione 4.0 impatterà con forza dirompente sul lavoro. La parola d’ordine per restare sul mercato è reskilling. In IBM ci credono: per difendere l’impiegabilità delle persone è stato creato il Career Transition Center.

 

Andrea Raimondi, direttore HR di IBM Italia, cos’è il Career Transition Center?

«Essenzialmente si tratta di un programma di supporto ai dipendenti, un percorso che guarda al futuro con l’obiettivo di aiutare le persone a finalizzare nuove opportunità professionali sia dentro che fuori l’organizzazione, che fornisce strumenti utili per fare un bilancio del proprio percorso professionale e valutare se ci potranno essere opportunità diverse da quelle  avute finora. Il Career Transition Center si inquadra in un contesto produttivo generale che cambia molto rapidamente e che non mette al riparo nessuno, nemmeno chi occupa posizioni rilevanti sia dal punto di vista della gerarchia aziendale che dal punto di vista dello skillset. In questo scenario è essenziale che le persone si pongano la questione della coerenza delle proprie competenze con il nuovo contesto e il Career Transition Center è la risposta win-win a questa domanda: è utile a supportare la trasformazione aziendale e delle persone».

 

Che risultati state avendo?

«L’iniziativa ad oggi ha interessato circa 200 persone, che hanno aderito su base volontaria. Durante il percorso, le persone continuano a svolgere la loro attività quotidiana, ma dedicano circa il 25% del proprio orario lavorativo alle attività previste dal percorso: seminari, attività di coaching, lavori di gruppo o individuale, formazione tradizionale o online. Alcuni di loro hanno scelto di proseguire la carriera fuori dall’organizzazione; altri, grazie alle competenze acquisite durante il percorso, hanno avuto l’opportunità di ricollocarsi all’interno dell’azienda in altri ruoli. Crediamo che si tratti di una iniziativa promettente, però sarebbe interessante creare un dinamismo che vada oltre i confini dell’organizzazione. Oggi non c’è ancora un mercato con politiche attive del lavoro chiare. Se si vuole pensare a una soluzione complessiva al tema della mobilità di carriera, bisogna creare un contesto dinamico che stimoli le persone a fare scelte coraggiose».

 

E questo contesto lei non lo vede…

«Al di fuori dei tentativi che stiamo facendo a livello aziendale, non vedo chiaramente un contesto dinamico dal punto di vista della mobilità. Sul fronte delle politiche attive del lavoro non si colgono segnali definiti e una direzione chiara e netta capace di generare opportunità».

 

Su quali competenze vi state concentrando?

«In IBM abbiamo una lunga tradizione di investimenti in formazione avanzata. Chiediamo al nostro al personale di fare formazione per almeno 40 ore l’anno. Il Career Transition Center si inserisce in maniera trasversale in questo contesto, perché non interviene su competenze specifiche, ma fornisce uno skillset di gestione della propria carriera e di orientamento dei propri sforzi formativi. Detto ciò, in IBM puntiamo alla formazione su competenze affini al nostro business: cloud, intelligenza artificiale, security, digital transformation delle industrie».

 

Lei ha detto che il reskilling è una filosofia vincente, cosa vuol dire?

«In sintesi: viviamo una fase di cambiamenti epocali. In questo contesto l’essere impiegabili è l’unico modo per stare al passo e non essere tagliati fuori dalle opportunità che porterà la rivoluzione digitale in corso. Lavorare sulle proprie competenze professionali, mai come oggi, è una scelta vincente».

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