TAVOLA ROTONDA

Il lavoro ai tempi del coronavirus

Innovazione e tecnologia si rivelano strumenti indispensabili per non fermare le aziende e la produttività.

Se c’è una cosa positiva che la terribile emergenza scatenata dalla diffusione del virus Covid-19 ha dimostrato è che lo smart working non è solo un obiettivo del futuro legato alla conciliazione del tempo di lavoro con quello familiare, ma una realtà a cui chi ha potuto è ricorso per non bloccare la propria attività. In generale, questo momento così difficile sta rivelando che la tecnologia e l’innovazione sono fondamentali.

Ne abbiamo parlato con Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano; Gabriele Fava, giuslavorista, founder e chairman dello studio legale Fava & Associati; Adriano Mureddu, chief human resources officer di Comdata group.

Mariano Corso

Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnicno di Milano

 “L’emergenza coronavirus si è rivelata uno stress test per le aziende, mostrando chi è pronto e chi no a essere produttivo fuori da schemi tradizionali, resiliente e solido. È necessario che le Hr ne prendano atto”.

Mariano Corso ha fondato e dirige l’Osservatorio digital innovation, che svolge ricerche annuali sui trend e le priorità delle aziende operanti in Italia, ed è responsabile dell’Osservatorio smart working sul lavoro agile, che in questi giorni di emergenza sanitaria è lo strumento cui si stanno rivolgendo molte aziende. L’emergenza si è rivelata uno stress test e “niente, dopo, sarà più come prima”. Del resto, già le più recenti rilevazioni sulla percezione degli Hr di circa 200 aziende facevano emergere come priorità la necessità di un cambiamento dei modelli organizzativi (al 45%), seguita dallo sviluppo di cultura e competenze digitali e dall’employer branding.

Professor Corso, cosa dimostrano questi giorni di grande emergenza, sanitaria e per il mondo del lavoro?

Emergono almeno due elementi di grande interesse. Oggi lo smart working è fondamentale perché rallenta il contagio e perché è l’unica opportunità per mantenere continuità operativa. Come Osservatorio abbiamo avuto un confronto con gli organi istituzionali e il premier ha fortemente raccomandato l’utilizzo del lavoro agile. È evidente che, al di là degli aspetti conciliatori e di produttività sui quali già si rifletteva, questo momento ha messo in luce l’aspetto della resilienza organizzativa. Un paese scarsamente digitale come il nostro ha mostrato le sue fragilità. Oggi le Hr non possono prescindere da questo: nulla sarà uguale; è diventato evidente che un’azienda e un Paese che non sono in grado di fare questo scatto sono destinati a essere profondamente fragili. E vale per ogni settore: e-learning, e-commerce, sanità digitale e infrastrutture di telecomunicazione, che hanno dimostrato in questi giorni di non reggere sempre il carico. Detto ciò, le Hr devono costruire queste condizioni di resilienza e di robustezza del digitale.

L’emergenza è una cartina di tornasole, insomma…

Una sorta di stress test da cui si sta vedendo quali aziende sono in grado di assorbire il colpo. Il 70% delle aziende, che non aveva creato queste basi, si è trovato completamente bloccato. Auspicabilmente sfrutteremo questa enorme accelerazione, che avrebbe richiesto anni per essere compiuta, dal punto di vista delle competenze e anche della consapevolezza. Tutti stanno imparando adesso a fare didattica on line, a fare riunioni on line e a lavorare su documenti condivisi coordinando obiettivi per team di lavoro. La situazione estrema ha portato questa consapevolezza: chi non aveva minimamente pensato a queste prospettive non ha potuto costruirle in cinque minuti. Le Hr dovranno lavorare per costruire le basi del post tsunami. La rabbia è: ci voleva il coronavirus?

Fatte queste premesse a partire dalla contingenza, quali sono le strade su cui lavorare per “sfruttare” l’innovazione?

Io parlo spesso del “precision people care”. Oggi, essere in possesso di dati sulle persone ci permette di prevederne i bisogni sulla base delle caratteristiche individuali e dei talenti, abilitando un approccio personalizzato allo sviluppo del capitale umano.

Professor Corso, spieghi cosa intende…

Basta pensare a ciò che è già avvenuto nel mondo della sanità, dove la disponibilità di dati e informazioni porta verso una maggiore precisione nella cura, conoscendo lo stato di salute delle persone in tempo reale. Nelle Hr può accadere qualcosa di molto simile e il trend per il futuro sta nel costruire questo modello di precisione.

Faccio un esempio: un tempo si facevano analisi sul clima lavorativo ogni due anni. I problemi che si riuscivano a intercettare erano generalizzati e spesso passati, si rischiava di fare un’autopsia e non prevenzione. Oggi invece siamo in possesso di numerosi strumenti che consentono di creare feedback continui: ciò permette di identificare necessità, prevenire problemi, consentire la creazione di una leadership. Questo monitoraggio può essere fatto in diversi ambiti: per gestire il clima, ad esempio, esistono applicazioni che permettono di monitorare in modo individualizzato lo stato di engagement delle persone, creando un canale di ascolto tra capo e collaboratore e generando dati che si usano per fare empowerment diretto alla persona. Inoltre, attraverso il people analytics, l’Hr può gestire meglio i bisogni: oggi, quando una persona usa Office, il calendario interagisce con il sistema creando un work analytics state utile per se stessi e per i capi. Questo è il vero trend: la gestione personalizzata.

Gabriele Fava

Giuslavorista, founder e chairman dello studio legale Fava & Associati

“La nuova frontiera è già pronta: bisognerà sempre di più coniugare lavoro agile con lavoro tradizionale; lo smart working aiuterà a rivedere le voci di costo, lasciare i building e investire in sviluppo”

“Sul lavoro che cambia dobbiamo partire da questo stato emergenziale, perché ha influenzato tutta l’organizzazione del lavoro delle imprese di ogni dimensione, anche di quelle dislocate che hanno sedi in svariati paesi. Siamo stati costretti ad abbracciare, implementare e sperimentare nuove forme di lavoro, come lo smart working, e siamo già oltre quelle che avevamo immaginato come nuove frontiere”. Gabriele Fava, giuslavorista dello studio legale Fava&Associati, specializzato in diritto del lavoro, non ha dubbi su questi punti. In questi giorni in cui non si stacca mai dal telefono, perché le richieste di consulenze e confronti sono continue, riflette sul futuro del lavoro, nel post-coronavirus.

Avvocato, quindi quale sarà la nuova frontiera?

Ormai la nuova frontiera sarà combinare il lavoro agile con il lavoro tradizionale. Esistono già realtà molto importanti e strutturate che stanno implementando il lavoro agile – che, come sappiamo, significa lavorare da dove si vuole e non in ufficio – e si accorgeranno che funziona. Faranno delle valutazioni delle performance: ci si renderà conto – utilizzando come scala di riferimento il semaforo rosso, verde e giallo – che la tendenza sarà un giallo che va verso il verde.

E questo cosa comporterà?

Ad esempio, accadrà che i grandi gruppi e le realtà più grosse, che occupano building e impiegano infrastrutture, si accorgeranno di quanto sono costose nei loro piani aziendali. Si customizzeranno i contratti di smart working e ci si renderà conto, alla luce di ciò che adesso sta succedendo, che si potrà ottenere un enorme risparmio lasciando gli edifici perché con quelle risorse si potrà, invece investire nello sviluppo, nella penetrazione di monomercati.

Come influirà questa nuova frontiera sull’occupazione?

Si aprirà una nuova prospettiva molto favorevole al crescere dell’occupazione. Ciò che stiamo vivendo in queste settimane è l’esempio concreto e lampante di come la tecnologia può aiutare il lavoro: tutte le aziende dovrebbero riorganizzare le proprie attività, perché – al contrario – quando non si può andare avanti seguendo le modalità tradizionali, non si sopportano i costi e arrivano i  licenziamenti collettivi. Invece, grazie alla tecnologia e a nuove forme di lavoro flessibile, si può proseguire garantendo la continuità aziendale. È evidente che per la produzione è diverso: se sono un operaio e devo andare in azienda in produzione, il datore di lavoro sarà obbligato a farmi lavorare in sicurezza. Insomma, pur nella drammaticità del momento, stiamo tutti scoprendo un nuovo mondo: pensiamo anche alla didattica a distanza che insegnanti e studenti stanno sperimentando.

E dal punto di vista dei contratti, gli autonomi ci potrebbero rimettere?

Il nuovo modo di lavorare porterà anche nuove modalità contrattuali: non è un male. Mentre è stato un male cancellare il lavoro autonomo parasubordinato, perché non ha mai rappresentato una percentuale maggioritaria rispetto al subordinato. Era semmai un’opportunità che poteva rispondere a delle esigenze: se una donna, ad esempio, per un periodo della sua vita, decide di volere occuparsi dei figli piccoli senza perdere la sua professionalità, allora lo smart working o una parte di attività incentrata sul lavoro autonomo possono essere una soluzione. E anzi, strumenti come questi consolidano il rapporto di lavoro, così che quando la dipendente o il dipendente vorranno tornare a esserlo a tempo pieno potranno farlo. Mi auguro che non ci siano, finito questo periodo, troppe strumentalizzazioni…

In questa fase, che tutele è necessario applicare?

Tutto è migliorabile, ma sono stati fondamentali gli interventi messi in campo da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, che hanno stanziato rispettivamente 135, 40 e 25 milioni per la cassa integrazione in deroga per la durata della sospensione. Sono già allo studio altre riforme e proposte di estensione di questi ammortizzatori anche per le microimprese fino a cinque dipendenti ed è molto importante dare una copertura in tale senso. I lavoratori autonomi, in questa fase, sono certamente i più vulnerabili: sono imprenditori, ma non hanno gli svantaggi e neanche i vantaggi di questa categoria e si dovrà pensare anche a loro.

Adriano Mureddu

Chief human resources officer di Comdata GRoup

“In pochi giorni si sono verificati cambiamenti che pensavamo necessitassero di anni per avvenire; non sempre le Hr sono pronte ad avere una visione olistica che coniughi, persone, tecnologie e business”.

“In questi giorni stiamo registrando un’accelerazione nei processi organizzativi da remoto; la tecnologia lo permetteva già, ma le aziende hanno dovuto lavorare per mantenere i livelli di produttività con i nuovi strumenti”. Adriano Mureddu, Chief Human Resources Officer di Comdata group, spiega cosa sta accadendo, prospettando scenari che fino a ieri sembravano futuri, ma che sono già in essere, e rispetto ai quali non si potrà più tornare indietro.

“Nella maggior parte dei casi, i responsabili delle risorse umane non sono pronti al cambiamento in atto: hanno spesso una visione troppo umanistica della propria professionalità, o sono troppo legati ad aspetti legali del mondo del lavoro, mentre oggi e in futuro – spiega Mureddu – sarà sempre più importante avere una visione olistica e capire allo stesso momento persone, tecnologie e business”.

Cosa sta accadendo in questi giorni?

L’emergenza sta costringendo a industrializzare modalità di lavoro diverse, anche quelle che non si pensava fossero praticabili in remoto. In poco tempo sta accadendo ciò che pensavamo sarebbe successo in alcuni anni e ci si rende conto che – al di là della tecnologia, che già era disponibile – il cambiamento deve essere culturale. Il collo di bottiglia è nella capacità dei lavoratori, e nel nostro caso anche dei clienti, di accettare modalità da remoto; dal canto nostro, le aziende e le Hr devono misurare il nuovo funzionamento dell’organizzazione. Poi c’è il tema sociale, che riguarda tutti: lavorare da casa per certi aspetti può essere noioso e difficile, perché l’essere umano è sociale. Una cosa è l’alternanza, altra è ciò che sta accadendo adesso. Le persone attive vivono almeno un terzo della propria giornata lavorando e non siamo ancora pronti a questa sfida della trasformazione tecnologica. Ne usciremo comunque con un bagaglio di consapevolezze molto elevato, imparando cosa c’è da salvare e cosa va ripensato dello smart working.

Al di là del momento straordinario, può spiegare cosa sta cambiando in generale nel mondo del lavoro dal suo punto di vista?

Oggi i dati vengono sempre più utilizzati in modo esaustivo ed efficace; la capacità di calcolo aumenta esponenzialmente e questo fatto consentirà un’implementazione dell’attività analitica, che diventerà ulteriormente sofisticata. Si potranno misurare molto meglio le performance dei dipendenti: si passerà da una modalità di analisi di tipo reattivo ed ex post a una in grado di prevenire, raffinando la modalità di recruitment così da creare percorsi deterministici che consentano di generare competenze.

Emerge sempre più forte la paura dei dipendenti di essere scavalcati se non addirittura eliminati dai robot, dall’intelligenza artificiale, dalla tecnologia. Cosa ne pensa?

Per fortuna l’elemento umano è variabile e quindi l’intelligenza artificiale sarà sempre complementare all’intelligenza emotiva che, tuttavia, verrà affiancata da una base di dati molto sofisticata. I lavoratori sono impauriti se non li si dota di strumenti di comprensione, se non li si attrezza con strumenti che permettano di utilizzare le nuove tecnologie. Implementare nuove tecnologie significa renderle effettivamente fruibili a tutti i livelli, anche a chi non è nato nell’era digitale.

In questo contesto, come si configura il ruolo dell’Hr?

L’Hr dovrà per forza evolvere; dovrà inserire figure data scientist che siano in grado di analizzare tutta la quantità enorme di dati raccolti. Sarà necessario pensare nuove correlazioni che, ad oggi, nella mente dei responsabili delle risorse umane, non sono così immediate. L’innovazione digitale non può essere solo mera applicazione di tecnologie, perché se così fosse rimarrebbe fine a se stessa: l’innovazione deve essere di processo, di servizio, di prodotto.

Ad esempio?

Ad esempio si dovrà tenere d’occhio l’aumento del gap tra vecchi e nuovi dipendenti. Se da un lato i responsabili delle risorse umane dovranno inserire figure professionali nuove, dall’altro avranno il compito di tenere insieme una work force che sarà molto diversificata. Il gap emotivo sarà molto più elevato rispetto a quello che si avvertiva qualche decennio fa. La diversificazione può essere positiva solo se si terrà conto di questi elementi.

Crede che chi lavora nelle risorse umane sia pronto?

No, ad eccezione di qualche azienda, credo che la maggior parte delle persone a capo delle risorse umane non sia pronta. Non esiste ancora quella visione olistica che consente di osservare insieme persone, tecnologia e business. Senza considerare il tema più ampio legato all’organizzazione, che diventa cruciale.

In che senso?

Bisognerà intervenire sull’organizzazione delle gerarchie e sulle collaborazioni Occorrerà essere in grado di gestire persone che si aggregheranno temporaneamente attorno a un progetto, in modo snello, dimenticando gli uffici e i settori rigidamente interpretati. Il team si dovrà creare attorno a tematiche di interesse, rispetto alle priorità aziendali: l’azienda dovrà essere gestita per obiettivi ed essere capaci di lavorare per gruppi diventa indispensabile. In alcune realtà accade già, ma non si tratta di una caratteristica pervasiva, soprattutto nel mondo dei servizi. Nei nuovi modelli organizzativi cambia la lente di ingrandimento, il reward è importante. Non dimentichiamo che la società è passata da un modello tipicamente collettivo a uno individuale, dove non ci sono più i partiti o i sindacati come figure intermedie. L’individuo ha necessità di un processo custom: per capirci, si aspetta di essere gestito come lo gestisce Amazon. Inoltre, le giovani generazioni investono sempre più in aziende che condividono i loro valori, e sono disposte a cambiare nel caso in cui il sistema valoriale diventi un altro. Non si cerca più la sicurezza del posto di lavoro, perché le sicurezze non esistono più: le persone sposano un progetto professionale, con una laicità tale da sapere che quel progetto potrà anche cambiare.

 

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