Il lavoro? Un mondo, non un mercato. Basta Chiacchiere

Intervista a Walter Passerini, giornalista ed esperto di lavoro, autore del libro “Basta chiacchiere: un nuovo mondo del lavoro è possibile”. “Bisogna riprendere in mano la questione dei fondamentali e smetterla con la dipendenza dal determinismo tecnologico. Serve concretezza e cambiare il gergo”. Priorità e le tre riforme da cancellare

Walter Passerini è uno dei più noti e autorevoli giornalisti economici italiani, specializzato sui temi del lavoro. Ha scritto a lungo per il Corriere delle Sera  (fondando Corriere Lavoro), per il Sole 24 Ore e Italia Oggi 7. Ha lavorato in tv e con diverse radio. Attualmente collabora con La Stampa e insegna giornalismo alla Scuola Walter Tobagi dell’Università di Milano. Di recente ha mandato in libreria Basta chiacchiere: un nuovo mondo del lavoro è possibile. Un titolo provocatorio per una narrazione controcorrente ancorata ai fatti. Finti nuovismi e fiducia cieca negli algoritmi non fanno per Passerini.

Passerini, come nasce il libro e da chi è sostenuto?

Il libro nasce sull’onda di molti stimoli: un dibattito pubblico sul lavoro di tipo contrattualista ed economicista; una scarsa visione strategica; una difficoltà a immaginare il futuro prossimo. La risposta ha cercato di intercettare una dozzina di temi ritenuti essenziali e di farli trattare da dodici testimoni indipendenti. Il risultato lo vedremo nel dibattito che ci sarà. Devo ringraziare Aidp per aver accettato di inserire il nostro libro nella nuova collana pubblicata dall’editore Franco Angeli, e anche la Fondazione Antonio Lombardi, che fa parte di Magister Group, per aver supportato e condiviso il progetto editoriale.

Su quali basi si fonda il “nuovo mondo del lavoro”?

La diatriba non è un gioco di parole: il “mondo del lavoro” è molto più ampio e non è solo un “mercato del lavoro”. Oggi vediamo come il lavoro invece sia stato ridotto nemmeno a mercato, addirittura a suq, a puro costo, a prezzo, dimenticando il valore del lavoro, in termini culturali, valoriali, di costruzione di una società. I luoghi del lavoro sono tante società in cui si fabbricano prodotti e progetti, di vita e di futuro, di grande qualità, dove si esercita la passione per il bello e il ben fatto, dove si costruiscono qualità e solidarietà.

Negli ultimi anni ci sono stati diversi interventi sul diritto del lavoro (Fornero, Renzi, Di Maio): cosa è mancato?

Le misure citate sono un esempio di costruzione algida, in un mondo che richiede senso. Disegnare a tavolino nuove architetture con dei contratti è perlomeno semplicistico, perché si perde la motivazione, il nesso che tiene uniti dipendenti, imprenditori, territori, cittadini. La riforma Fornero ne è stato un esempio catastrofico (e incolpevole, per la ministra) lasciando sul terreno una eredità di ingiustizia sociale; il Jobs Act di Renzi è risultato vittima di una doppia ideologia: quella dei sostenitori dell’articolo 18 e quella degli aspiranti illuministi, perdendo così la realtà, senza nemmeno riuscire a scalfirla, incrociando fortunosamente un’economia autosufficiente e temporanea e lasciando le concrete politiche attive del lavoro alla finestra; il Decreto Dignità di Di Maio ha fatto compiere passi indietro al dibattito pubblico, lasciando sul campo attivizzazione e assistenza, povertà e lavoro, politiche passive e contratti precari. Ciò che richiede oggi un drastico tagliando.

Dall’altro lato, nelle imprese c’è la capacità di gestire e valorizzare le risorse umane?

Mi scuso per la lapidarietà, ma se guardo a ciò che sta succedendo, direi seccamente di no. Bisogna riprendere in mano la questione dei fondamentali e smetterla con la dipendenza dal determinismo tecnologico: il digitale è uno strumento, un algoritmo non è tutto. La fuga di alcuni responsabili di risorse umane dentro la gestione dei dati non è un assoluto e non tranquillizza. Si riparta dalle persone.

Chi sta facendo chiacchiere sul lavoro?

Molti, io compreso, naturalmente. Ma bisogna tornare alla concretezza e cambiare il gergo: spesso si ascoltano parole vuote (il managerialese), che scivolano nell’indifferenza e non cambiano la realtà. E organizzare l’ascolto prima della comunicazione.

Lavoro e riforme: cosa cancellerebbe e di cosa ci sarebbe bisogno in questo momento?

Discorso lungo. Mi limito a dire che la riforma degli ammortizzatori sociali va fatta per tutti, al di là dal contratto posseduto, per diventare universale; e poi ci servono le politiche attive e la formazione, rifinanziando l’alternanza scuola-lavoro. Queste le priorità in questo momento. Cancellerei invece il Reddito di cittadinanza, il Decreto dignità e la Quota 100.

Su quali filoni dovrebbe puntare l’Italia per avere sviluppo e lavoro di qualità?

Manca un legame tra lavoro e nuove politiche industriali. Si chiacchiera di tutto, ma non si costruisce sviluppo. Siamo un paese che non ha il senso della visione a medio-lungo raggio. Non sappiamo su quali settori puntare nel futuro e si gioca sull’eterno presente. Il povero Colao ne sa qualcosa. Quali sono i sette settori su cui l’Italia vuole puntare? Niente lunghi elenchi, ma scelta delle priorità.

Cosa consiglierebbe ad un giovane che sta per scegliere il proprio percorso universitario?

Di alzare il livello e la qualità della formazione, anche con un’esperienza all’estero e senza disdegnare un po’ di lavoro manuale. E puntare sulla motivazione personale: tanto non c’è ancora quasi nessuno in Italia che sappia fare davvero orientamento.

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