Populismo e cervelli in entrata: cartoline dagli USA

Le politiche di chiusura del presidente Trump contrastano con le necessità del sistema economico di attrarre talenti dall’estero. La maggior parte di loro è richiesta dal settore informatico. Guadagnano in media 114.000 dollari l’anno e non sono in competizione con i lavoratori autoctoni. In Italia problema inverso: esclusa Milano, il Paese non è attrattivo.

USA

L’immagine che abbiamo è quella dei barconi affollati di disperati che puntano alle coste di un altro Paese in cerca di condizioni di vita migliori. È su questa immagine che la politica si è divisa e l’opinione pubblica ha discusso. Ma non è l’unico punto di vista esistente: la si può prendere guardando dalla prospettiva delle necessità dell’economia e sostituire i barconi con aerei carichi di ingegneri, informatici o tecnici high skilled. In questo caso le decisioni politiche di orientamento populista, quelle che di solito si rappresentano in difesa del lavoro locale, possono arrivare a contrastare pesantemente con le necessità dei sistemi economici più avanzati, che attraggono talenti da tutto il mondo.

Al netto dei giudizi politici, qualcuno si è preso la briga di misurare l’effetto delle politiche del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in relazione alla necessità del sistema economico USA di attrarre persone straniere con alta formazione.

A metà giugno, il presidente degli Usa ha firmato un atto che non solo blocca il visa program (con l’obiettivo di tutelare i lavoratori americani nella fase di crisi da coronavirus) ma estende i divieti di immigrazioni emanati ad aprile (qui un approfondimento del New York Times). Una condizione che impedirà ai lavoratori stranieri di vivere e lavorare temporaneamente negli Stati Uniti e si applica ai lavoratori altamente qualificati nonché ai lavoratori stagionali e agli studenti che frequentano programmi estivi di studio e lavoro. Molti di loro, infatti, sono rientrati già nei paesi di provenienza.

Nei divieti rientrano anche i lavoratori del programma H-1B, un visto che permette alle aziende americane di assumere persone con particolari competenze o qualifiche provenienti da paesi stranieri. Secondo il presidente Trump questo programma ha fatto il gioco delle imprese di avere manodopera qualificata a costo minore, secondo altri è la risposta alla carenza cronica di lavoratori altamente qualificati. Si tratterebbe comunque di figure professionali alte che difficilmente potrebbero entrare in competizione con le persone che hanno perso o stanno perdendo il lavoro a causa della pandemia.

I numeri

Secondo i dati del rapporto sulle caratteristiche dei lavoratori arrivati in Usa con il visto H-1B, la stragrande maggioranza dei destinatari di permessi H-1B nell’anno fiscale 2019 ha lavorato in occupazioni informatiche. Con oltre 250.000 domande approvate, i lavoratori del comparto informatico rappresentavano il 66 percento di tutti i beneficiari del programma. Al secondo posto gli occupati o in architettura e ingegneria. Stando sempre ai dati pubblicati dai servizi di cittadinanza e immigrazione degli Stati Uniti, il compenso medio annuale per i candidati H-1B di successo era di  114 mila dollari, un dato a dimostrazione del fatto che la maggior parte di loro non può essere qualificata come manodopera a basso costo.

Italia

Le cartoline dagli Usa potrebbero essere premonitrici di tendenze in Europa o in Italia, sull’onda della crescita di fronti di ispirazione populista. Nel Bel Paese, in realtà, la situazione degli immigrati high skilled ne risentirebbe poco in quanto l’Italia è poco attrattiva per queste professionalità, a cominciare dalle Università che non riescono a importare cervelli. Unica in controtendenza è la città di Milano (fonte: Global Talent Competitiveness Index 2020).

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