Lavorare nella Gdo, le nuove professioni

Prima puntata dell’Osservatorio di Hr-link sul mercato del lavoro italiano. Un percorso che parte dal settore del Retail e della Grande distribuzione organizzata, con l’intervista a Francesco Quattrone, direttore area lavoro e sindacale di Federdistribuzione

lavorare nella gdo

Da qui al 2022, recita il rapporto Excelsior di Unioncamere e Anpal, serviranno in Italia più di 2,5 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi. E quasi il 36% di loro – vale a dire circa 920 mila persone – saranno chiamati a ricoprire un ruolo manageriale o una mansione specialistica, con altissime competenze. Quali saranno? Quali sono le tendenze in atto e i profili più ricercati dai diversi comparti produttivi? Per rispondere a queste domande Hr Link inaugura un ciclo di articoli e interviste che forniranno una panoramica delle tendenze in atto nel mercato del lavoro in alcuni settori.

Si parte con la Grande distribuzione organizzata, settore che occupa attualmente quasi 460 mila persone e vive da alcuni anni una fase di profonda trasformazione, che investe da una parte le funzioni centrali, con l’e-commerce e la digitalizzazione dei processi, dall’altra i punti vendita, obbligati a fare i conti con le esigenze di innovazione e modernizzazione. «La maggior parte delle aziende si sta digitalizzando e molte realtà hanno avviato canali di e-commerce, funzionalità che necessitano di figure professionali parzialmente nuove. Ma in realtà l’evoluzione è iniziata dietro le quinte già diversi anni fa, quando le imprese della Gdo, specie le più strutturate, hanno iniziato a sentire l’esigenza di affiancare alle figure tradizionali profili più legati all’innovazione», spiega Francesco Quattrone, direttore Area Lavoro e Sindacale di Federdistribuzione, in precedenza  direttore Risorse umane e Organizzazione di Carrefour Italia per oltre un decennio.

Dottor Quattrone, saprebbe dirci quali settori sono stati investiti da questo processo?

«Nel tempo abbiamo assistito a un interessante sviluppo nel settore del Data Analysis e del Data Science, iniziato quasi 20 anni fa con lo studio dei dati delle carte fedeltà, il Costumer relationship management e l’elaborazione delle attività promozionali. Con l’avvento di internet e la digitalizzazione del consumatore, le aree di studio si sono moltiplicate ed è nata la necessità di disporre di personale in grado di incrociare i dati degli scontrini reali con quelli dei movimenti fatti via web, per raccogliere, analizzare, elaborare e interpretare informazioni ormai necessarie per mettere a punto le strategie aziendali. Dal web nasce anche il bisogno di nuove figure in altri ambiti, come quello della Cybersecurity, o quello della Comunicazione e del marketing, dove, come sappiamo, le insegne non possono più fare a meno di professionisti specializzati in social media».

In che misura l’innovazione sta modificando l’ambito delle risorse umane, nei punti vendita?

«Il retail fisico resta decisamente più ancorato alle figure tradizionali, ma anche qui si vanno affermando nuovi profili professionali. È una tendenza già definita all’estero, che in Italia sta affiorando, soprattutto nel settore del fashion. Nelle aree metropolitane a maggiore affluenza si iniziano a vedere i personal shopper, assistenti personali dei consumatori, con qualifiche e professionalità ben definite. E presto sarà possibile incontrare visual merchandiser, che in un futuro non molto lontano saranno in grado di allestire nel punto vendita vetrine virtuali capaci di cambiare assortimento attraverso il riconoscimento facciale dei clienti».

Nel food e negli altri settori, cosa si muove?

«In generale nei grandi store si sente la necessità di “consulenti al cambiamento” che formino il personale ad assistere i consumatori più evoluti all’interno del punto vendita, spesso alle prese con App o servizi tecnologici».

Che spazio avranno invece domani le figure tradizionali?

«Il retail ha ancora un enorme bisogno delle figure professionali classiche. Oggi costituiscono circa il 95% degli addetti della Grande distribuzione, e sono soprattutto addetti ai reparti o cassiere, che sicuramente nell’immediato vivranno un’evoluzione meno significativa. Sono mestieri impegnativi, a volte poco appetibili, ma che offrono ottime probabilità di carriera: un responsabile reparto di un grande store gestisce una quantità di merce pari a quella di una piccola impresa, è un ruolo di grande responsabilità riconosciuto dalle aziende».

Esiste una ricetta per fare carriera nel mondo della Gdo? Cosa consiglierebbe a un giovane che è affascinato da questo settore e aspira a una posizione manageriale?

«Sembra superfluo dirlo, ma alla Gdo occorrono professionisti molti bravi: e per bravi intendo manager competenti che sappiano stare al passo con l’innovazione, siano dotati creatività e capacità di comunicare. Indipendentemente dall’ambito di attività prescelto consiglierei di partire da una solida formazione culturale, e di cominciare con un’esperienza concreta in un punto vendita, perché dall’osservazione dei clienti in un negozio si impara più che da mille modelli di marketing. E poi di iniziare all’estero, guardando con curiosità alle esperienze di successo straniere, senza fossilizzarsi sui modelli più complessi. Spesso anche le formule di vendita basiche garantiscono ottimi risultati: nella vendita la chiave del successo sta soprattutto nell’individuare e riuscire a conquistare il proprio target».

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