Povertà lavorativa, le proposte del Ministero per contrastarla

L’Italia è il quarto paese in Europa per lavoro povero, troppi vivono con il 60% in meno dello stipendio medio. Tra le soluzioni individuate, la garanzia di un salario minimo, il rafforzamento della vigilanza, l’introduzione dei in-work benefit e incentivi alle imprese affinché garantiscano compensi adeguati.

lavoro povero

Cinque proposte per contrastare la povertà lavorativa in Italia. A presentarle il gruppo di lavoro istituito dal Ministro del Lavoro Andrea Orlando con l’obiettivo di indicare una strategia per combattere una condizione lavorativa in cui la retribuzione è inferiore del 60% rispetto allo stipendio medio. Ciò significa lavorare ma essere pagati pochissimo o essere impiegati per poche ore. «Una strategia di lotta alla povertà lavorativa richiede una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito e assicurare un sistema redistributivo ben mirato», si legge nella sintesi del Rapporto.

L’Italia si posiziona al quarto posto in Europa per numero di lavoratori in condizione di povertà – l’11,8%, contro una media Ue di 9,2% – dopo Romania, Spagna e Lussemburgo. Ma chi è un lavoratore povero (o working poor o in-work poor secondo le dizioni internazionali)? «Secondo l’indicatore adottato dall’Unione Europea, un individuo è considerato in-work poor (IWP) se dichiara di essere stato occupato per un certo numero di mesi (solitamente sette) nell’anno di riferimento e se vive in un nucleo familiare che gode di un reddito equivalente disponibile inferiore alla soglia di povertà stabilita, solitamente il 60% del reddito mediano nazionale – si legge ancora nel rapporto – Il concetto di IWP comprende dunque due dimensioni: la prima, individuale, connessa all’occupazione del singolo e a caratteristiche quali la stabilità occupazionale e salario del lavoro svolto, la seconda connessa alla struttura demografica e alla composizione occupazionale del nucleo familiare stesso».

Le proposte del gruppo di lavoro

La prima proposta prevede la garanzia di salari adeguati per i lavoratori dipendenti, tenendo conto che le proposte su cui si sta discutendo nel Paese sono quella relativa al salario minimo per legge o l’estensione del contratto collettivo a tutti i lavoratori; il gruppo ha elaborato una terza opzione che «consenta una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori», permettendo di rispondere velocemente alle maggiori urgenze.

La seconda proposta riguarda la vigilanza, affinché le decisioni prese siano rispettate e il salario minimo – per legge o per contratto – sia davvero tale.

La terza riguarda l’in-work benefit, dato che l’Italia non ha uno strumento che riesca a integrare i redditi bassi: basandosi sulle esperienze internazionali, il trasferimento dovrebbe essere pensato a livello individuale per non disincentivare il lavoro.

La quarta proposta prevede di garantire incentivi alle imprese per pagare salari adeguati. La quinta, infine, indica alla Ue una strada diversa rispetto a quella intrapresa; infatti «l’indicatore di povertà lavorativa utilizzato dall’Unione europea esclude i lavoratori con meno di sette mesi di lavoro durante l’anno e presuppone un’equa condivisione delle risorse all’interno della famiglia». In questo modo si escludono i lavoratori più a rischio e si pone, quindi, la necessità di allargare la platea.Click here to change this text

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